Confessiones, II, 4

Furtum certe punit lex tua, domine, et lex scripta in cordibus hominum, quam ne ipsa quidem delet iniquitas: quis enim fur aequo animo furem patitur? Nec copiosus adactum inopia. Et ego furtum facere volui, et feci, nulla conpulsus egestate, nisi penuria et fastidio iustitiae et sagina iniquitatis. Nam id furatus sum, quod mihi abundabat et multa melius; nec ea re volebam frui, quam furto appetebam, sed ipso furto et peccato. Arbor erat pirus in vicinia nostrae vineae, pomis onusta, nec forma nec sapore inlecebrosis. Ad hanc excutiendam atque asportandam nequissimi adulescentuli perreximus nocte intempesta, quousque ludum de pestilentiae more in areis produxeramus, et abstulimus inde onera ingentia non ad nostras epulas, sed vel proicienda porcis, etiamsi aliquid inde comedimus, dum tamen fieret a nobis quod eo liberet, quo non liceret. Ecce cor meum, deus, ecce cor meum, quod miseratus es in imo abyssi. Dicat tibi nunc ecce cor meum, quid ibi quaerebat, ut essem gratis malus et malitiae meae causa nulla esset nisi malitia. Foeda erat, et amavi eam; amavi perire, amavi defectum meum, non illud, ad quod deficiebam, sed defectum meum ipsum amavi, turpis anima et dissiliens a firmamento tuo in exterminium, non dedecore aliquid, sed dedecus appetens.

Per certo la tua legge punisce il furto, o Signore, e la legge scritta nei cuori degli uomini, che neppure la stessa iniquità può cancellare: infatti quale ladro sopporta con animo giusto un furto? Neppure il ricco sopporta uno che è stato spinto dalla povertà. E io ho voluto fare il furto e l’ho fatto senza essere spinto da alcuna indigenza se non dalla mancanza e dal disprezzo del senso di giustizia e dalla grandezza della (mia) iniquità. Infatti io rubai proprio ciò che avevo in abbondanza e di qualità molto migliore, e non volevo quindi godere di quella cosa, che desideravo attraverso il furto, ma del frutto stesso e del peccato. C’era un albero di pere nelle vicinanze della nostra vigna carico di frutti non allettanti né per aspetto, ne per sapore. Noi, giovani scelleratissimi, ci dirigemmo per scuotere e depredare quest'(albero) nel cuore della notte; fino ad allora avevamo protratto i nostri giochi nei cortili, secondo le nostre malsane abitudini, e portammo via da là dei grandi carichi, non per i nostri banchetti, ma per gettarli ai porci, anche se ne mangiammo qualcuna, purché facessimo ciò che tanto piaceva quanto non era lecito. Ecco il mio cuore, Dio, eco il mio cuore, di cui hai avuto pietà nel profondo abisso. Ecco, che il mio cuore ti dica che cosa andavo a cercare lì, cosicché io ero cattivo nelle grazie e la causa delle mie cattiverie non era altro se non la cattiveria. (Questa) era brutta, ma io l’amai; amai morire, amai il mio peccate, non amai ciò per cui venivo meno, ma il mio stesso venir meno, turpe nell’anima e staccandomi dal tuo sostegno per cadere nella perdizione, aspirando non a qualche cosa per vergogna, ma alla vergogna stessa.