“La condanna all’esilio di Furio Camillo”

M. Caedicius, homo plebeius, tribunus narravit se in via, ubi sacellum est supra aedem deae Vestae, audivisse vocem clariorem humana nuntiantem Gallos ad urbem adventare.Id propter auctoris humilitatam cives contempserunt, cum Gallorum gens longinqua atque ignota esset. Ipsi autem cives, quamvis tanta in eos mala impenderent, non solum deorum monita spreverunt, sed etiam humanam opem despexerunt.Namque Furium Camillum, qui rei publicae felicitatem auxerat, opes stabiliverat, e civitate eiecerunt. Cum enim Apulius tribunus plebis eum peculatorem Veientanae praedae in iudicium vocari iussisset, dura atque severa sententia in exsilium missus est.Per idem tempus optimum quoque iuvenem filium magno cum dolore ipse amisit. Sed patria, immemor tanti viri maximorum meritorum, exequiis filii damnationem patris adiunxit.

Marco Cedico, un plebeo, narrò ai tribuni che egli in una strada, dove si trova un tempietto sulla sede della dea Vesta, udì una voce più chiara di una voce umana che annunziava che i Galli si stavano avvicinando alla città. I cittadini trascurarono ciò a causa dell’umile condizione dell’autore, essendo il popolo dei Galli lontano e sconosciuto. Gli stessi cittadini, poi, benchè tanti mali sovrastassero su di essi, non solo disprezzarono gli ammonimenti degli dèi, ma trascurarono anche i mezzi umani. E infatti cacciarono dalla città Furio Camillo, che aveva accresciuto la gloria della repubblica e aveva consolidato le fortificazioni. Quando infatti il tribuno della plebe Lucio Apulio ordinò che quello fosse chiamato in giudizio per essersi appropriato del bottino di Veio, fu mandato in esilio con dura e severa sentenza. Egli stesso, durante il medesimo periodo, perse con gran dolore anche il suo ottimo giovane figlio. Ma la patria, dimentica dei grandissimi meriti di tanto uomo, aggiunse alla condanna del padre le esequie del figlio.