“La sconfitta dei Germani di Ariovisto”

Omnes Germani terga verterunt neque fugere destiterunt prius quam ad flumen Rhenum, qui circiter duo milia passum ex eo loco distabat, pervenerunt. Ibi perpauci eorum, suis viribus confisi, lumen tranare conati sunt et sibi alutem reppererunt. In his fuit Ariovistus ipse qui, naviculam deligatam ad ripam cactus, ea ad alteram ripam profugit. Reliquos barbaros nostri equitatu consecuti, cunctos interfecerunt. Duae fuerunt Ariovisti uxores: una Sueba natione, quam domo secum duxerat; altera Norica, regis Voccionis sorror, quam in Gallia in matrimonium duxerat. Utraque in ea fuga preiit. Etiam duae filiae fuerunt, quorum altera occisa, altera fugiens capta est. Caius Valerius Procillus, qui captivus, tribus catenis vinctus, trahebatur, in ipsum Caesarem, hostes equitatu persequentem, incidit et liberatus est. Quae res non minorem quam ipsa victoria voluptatem Caesari peperit: nam hominem honestissimus provinciae Galliae, suum familiarem et hospitem, ereptum e manibus hostium, sibi restitutum videbat.

Tutti i Germani voltarono le spalle e non smisero di scappare prima di arrivare al fiume Remo, che distava da quel luogo circa duemila passi. Qui pochissimi di loro, confidando sulle loro forze, tentarono di passare il fiume a nuoto, e ottennero per sé la salvezza. Tra di loro ci fu Ariovisto, lo stesso che, trovata per caso una piccola imbarcazione legata alla riva, con quella fuggì sull’altra riva. I nostri, inseguiti gli altri barbari con la cavalleria, li uccisero tutti quanti. Due furono le mogli di Ariovisto: una proveniente dalla nazione sveva, che egli aveva portato con sé nella sua casa, l’altra norica, sorella del re Voccione, che aveva sposato in Gallia. Entrambe morirono durante quella fuga. Ci furono anche due figlie, delle quali una venne uccisa e l’altra catturata durante la fuga. Caio Valerio Procillo, che veniva trascinato prigioniero, avvinto da tre catene, si imbatté nello stesso Cesare, che inseguiva i nemici con la cavalleria e venne liberato. Questo fatto procurò a Cesare un piacere non inferiore alla vittoria stessa: infatti comprendeva che gli era stato reso un uomo degno di molto rispetto della provincia della Gallia, suo amico e ospite, sottratto dalle mani dei nemici.