De Officiis, I, 103

Ex quibus illud intellegitur, ut ad officii formam revertamur, appetitus omnes contrahendos sedandosque esse excitandamque animadversionem et diligentiam, ut ne quid temere ac fortuito, inconsiderate neglegenterque agamus. neque enim ita generati a natura sumus, ut ad ludum et iocum facti esse videamur, ad severitatem potius et ad quaedam studia graviora atque maiora. ludo autem et ioco uti illo quidem licet, sed sicut somno et quietibus ceteris tum, cum gravibus seriisque rebus satis fecerimus. ipsumque genus iocandi non profusum nec immodestum, sed ingenuum et facetum esse debet. ut enim pueris non omnem ludendi licentiam damus, sed eam, quae ab honestatis actionibus non sit aliena, sic in ipso ioco aliquod probi ingenii lumen eluceat.

Da ciò si conclude, che bisogna frenare e calmare tutti gli istinti, spronando la nostra vigile attenzione così che non si faccia nulla alla cieca e a caso, nulla senza riflessione e con negligenza. In verità, noi non siamo stati generati dalla natura in modo da sembrar fatti per il gioco e per lo scherzo, ma piuttosto per un dignitoso contegno e per occupazioni più serie e più importanti. E’ lecito senza dubbio lasciarsi andare talvolta al gioco e allo scherzo, ma come è il caso del sonno e degli altri riposi, cioè quando avremo adempiuti i nostri gravi e importanti doveri. E il genere stesso dello scherzo deve essere, non eccessivo o smodato, ma onesto e gentile. Come non concediamo ai fanciulli ogni libertà nei giochi, ma solo quella che non è contraria alle azioni che l’onestà richiede, così anche nello scherzo risplenda un barlume d’animo gentile.