Epitomae, XXXIII, 2 (“Eroismo del figlio di Catone il Censore”)

In ea pugna M. Cato, Catonis oratoris filius, dum inter confertissimos hostes insigniter dimicat, equo delapsus, pedestre proelium adgreditur. Nam cedentem manipulus hostium cum horrido clamore, veluti iacentem obtruncaturus, circumsteterat; at ille citius, corpore collecto, magnas strages edidit. Cum ad unum opprimendum undique hostes convolarent, dum procerum quondam petit, gladius ei e manu elapsus in mediam cohortem hostium decidit; ad quem reciperandum, umbone se protegens, inspectante utroque exercitu, inter hostium mucrones sese immersit, recollectoque gladio, multis vulneribus exceptis, ad suos cum clamore hostium revertitur. Huius audaciam ceteri imitati, victoriam peperere.

Durante la battaglia, M. Catone – figlio dell’oratore Catone – mentre combatte, mostrando straordinario valore, tra i nemici serrati (intorno a lui), caduto da cavallo, si trova ad affrontare lo scontro a mo’ di fante. Infatti, un manipolo di nemici – con terribile urlo (di guerra) – l’aveva circondato mentre egli cadeva, con l’intenzione di sgozzarlo mentre era a terra. Ma egli, rialzatosi molto in fretta, fece una strage. Mentre da ogni parte piombavano nemici per far fuori uno solo, egli si getta all’attacco di un (soldato) di notevole stazza; la spada, sfuggitagli di mano, cadde in mezzo alla schiera nemica; al fine di recuperarla, (Catone) – proteggendosi con lo scudo – sotto gli occhi di entrambi gli eserciti, si gettò tra le armi nemiche e, recuperata la spada, a costo di molteplici ferite, rientra tra i suoi (soldati), tra le grida di rabbia dei nemici. Gli altri (soldati), spinti ad emulare il suo coraggio, conquistarono la vittoria.