Epistulae ad Caesarem, I, 5 (“La decadenza morale e politica della plebe romana”)

In duas partes ego civitatem divisam arbitror, sicut a maioribus accepi:in patres et in plebem. Antea in partibus summa auctoritas erat, vis multo maiore in plebe. Itaque saepius in civitate secessio fuit semperque nobilitatis opes deminutae sunt et ius populi amplificatum. Sed plebs libere agitabat quia nullius potentia super leges erat, neque divitiis aut superbia, sed bona fama factisque fortibus, nobilis ignobilem anteibat: humillimus quisque in arvis aut in militia, nullius honestae rei egens, satis sibi et satis patriae habebat. Sed, ubi eos paulatim expulsos agris inertia atque inopia incertas domos habere subegit, coepere alienas opes petere, libertatem suam et rem publicam venalem habere. Ita paulatim populos, qui dominus erat et cinctis gentibus imperitabat, dilapsus est et pro communi imperio privatim sibi quisque servitutem peperit. Haec igitur multitudo, malis moribus imbuta, nullo modo inter se congruens, parum mihi idonea videtur ad capessendam rem pubblicam.

Ritengo che la popolazione (risulti effettivamente) divisa in 2 classi, così come ho appreso dalla tradizione: (ovvero) in patriziato e plebe. In un primo momento, il potere politico assoluto era detenuto dal patriziato, quand’era invece la plebe ad avere un’incidenza molto maggiore. E così, (la plebe) sempre più spesso adottò (l’arma politica della) secessione, tale che – ad una diminuzione delle prerogative della nobiltà – corrispose un’amplificazione del diritto del popolo.
Tuttavia, la plebe poteva agire senza impedimenti perché non c’era alcuna autorità, la cui forza fosse al di sopra delle leggi, e l’aristocratico superava il plebeo non in ragione delle ricchezze o della prepotenza, ma in quanto a gloria ed imprese meritorie: chiunque – anche il più umile – (lavorasse) nei campi o (militasse) nell’esercito – s’accontentava di un’esistenza e di una condizione sociale, per quanto frugale, comunque onesta. Tuttavia, quando l’inerzia e l’indigenza allontanarono, a poco a poco, i plebei dai campi e li costrinsero ad un’esistenza precaria, cominciarono a mettere gli occhi sulle ricchezze altrui (per ottenere le quali) misero in vendita la propria libertà e la “cosa pubblica”. In questo modo, a poco a poco, il popolo – che aveva il comando assoluto su tutte (le altre) genti – si sfaldò e, invece di (concorrere al) comando comune, ognuno si procurò – per sé e per conto proprio – la servitù. Insomma, questa moltitudine – estremamente eterogenea e pregna di cattivi costumi – mi sembra davvero poco adatta alla vita politica.