Historia Romana, Liber Prior, 16 (“Quanti ingegni in poco tempo!”)

Cum haec particula operis velut formam propositi excesserit, quamquam intellego mihi in hac tam praecipiti festinatione, quae me rotae pronive gurgitis ac verticis modo nusquam patitur consistere, paene magis necessaria praetereunda quam supervacanea amplectenda, nequeo tamen temperare mihi, quin rem saepe agitatam animo meo neque ad liquidum ratione perductam signem stilo. Quis enim abunde mirari potest, quod eminentissima cuiusque professionis ingenia in eandem formam et in idem artati temporis congruere spatium, et quemadmodum clausa capso aliove saepto diversi generis animalia nihilo minus separata alienis in unum quaeque corpus congregantur, ita cuiusque clari operis capacia ingenia in similitudine et temporum et profectuum semet ipsa ab aliis separaverunt. Una neque multorum annorum spatio divisa aetas per divini spiritus viros, Aeschylum, Sophoclen Euripiden, inlustravit tragoediam; una priscam illam et veterem sub Cratino Aristophaneque et Eupolide comoediam; ac novam comicam Menander aequalesque eius aetatis magis quam operis Philemo ac Diphilus et invenere intra paucissimos annos neque imitandam reliquere. Philosophorum quoque ingenia Socratico ore defluentia omnium, quos paulo ante enumeravimus, quanto post Platonis Aristotelisque mortem floruere spatio? Quid ante Isocratem, quid post eius auditores eorumque discipulos clarum in oratoribus fuit? Adeo quidem artatum angustiis temporum, ut nemo memoria dignus alter ab altero videri nequiverint.

Sebbene questa piccola parte della mia opera sia uscita, per così dire, dal piano propostomi e io comprenda come, in questo procedere così vertiginoso che a mo’ di ruota o di rapido gorgo o di vortice non consente che mi soffermi in alcun punto, debba tralasciare l’essenziale quasi più che abbracciare il superfluo, tuttavia non posso fare a meno di esporre per iscritto un problema che ho spesso dentro di me affrontato, senza mai averlo messo in chiaro razionalmente. Chi potrebbe infatti meravigliarsi a sufficienza che gli ingegni più eccelsi nelle singole arti si trovino insieme nello stesso grado di perfezione e in un medesimo ristretto spazio di tempo e che, come animali di specie diverse, pur chiusi in gabbia o in un altro recinto, tuttavia separandosi dagli altri di altre specie, si riuniscono ciascuno in un gruppo a sé stante, così gli ingegni capaci di creare ciascuno opere nel loro genere sublimi si siano separati dagli altri per confluire in un medesimo periodo di tempo e per raggiungere un medesimo livello? Una sola epoca delimitata dallo spazio di non molti anni ha dato lustro alla tragedia grazie a uomini dall’ispirazione divina, quali Eschilo, Sofocle, Euripide, una sola epoca ha dato lustro a quella commedia antica e primitiva del tempo di Cratino, Aristofane ed Eupoli; e la commedia nuova la crearono nello spazio di pochissimi anni, e la lasciarono inimitabile, Menandro, Filemone e Difilo, pari a Menandro quest’ultimi più per il tempo in cui vissero che per le opere che composero. Anche le eccelse menti di tutti i filosofoi usciti dalla scuola di Socrate, che abbiamo elencato poco sopra, quanto tempo dopo la morte di Platone e di Aristotele fiorirono? Prima di Isocrate e dopo i suoi discepoli e i loro scolari, chi fu famoso nell’eloquenza? E furono compresi in uno spazio di tempo così ristretto che quanti di essi meritarono di essere ricordati, poterono vedersi l’un l’altro.