“Achilles in insula Scyro”

Rex Lycomedes, Thetidis Nereidos rogatu, Achillem adulescentem in regia domo inter filias habitu femineo habuit, ne ad bellum cum Graeciae principibus discederet, Achivi autem postquam Achillis deversorium cognoverunt, ad regem oratores miserunt, ut adulescentem omnium maxime strenuum ad bellum contra Troianos mitteret. Graecorum postulata cum audivisset, ita rex respondit: “Achilles domi meae non est nec umquam fuit; nisi meis verbis fidem tribuitis, perlustrate, quaeso, meam domum”. Tum vero Ulixes, vir omnium callidissimus, dolum adhibuit: nam in vestibulo munera feminea posuit una cum clipeo et hasta.

Il re Licomede, su richiesta di Teti, figlia di Nereo, tenne il giovane Achille, in abito femminile, nella casa reale tra le (proprie) figlie, perché non partisse in guerra assieme ai principi della Grecia. Gli Achei, in seguito, dopo che ebbero conosciuto il rifugio di Achille, mandarono ambasciatori al re, perché mandasse l’adolescente più forte di tutti alla guerra contro i Troiani. Udite le richieste dei Greci, il re così rispose: “Achille non è nella mia casa né ci fu mai; se non vi fidate delle mie parole, perlustrate, di grazia, la mia abitazione. Allora, in verità Ulisse, il più avveduto di tutti, usò un inganno: infatti pose nel vestibolo regali femminili assieme ad uno scudo e ad una lancia.

“L’astuzia contro la brutalità

Ulixes ad insulam Cydopis Polyphemi, Neptuni filii, pervenit. Polyphemo, olim, responsum erat ab augure Telemo: “Ulixes veniet in speluncam tuam et ab eo excaberis”. Cyclops media fronte unum oculum habebat et carnem humanam magna cum voracitate edebat. Hic, postquam pecus in speluncam redegerat, molem saxeam ingetem ad ianuam apponere solebat. Ulixes, adpropinquans ad cavernam, curiositate victus est intravitque limen. Polyphemus Ulixem indusit, socios eius consumere incipiens. Ulixes, Cydopis immanitati atque ferinitati non resistens, vino eum inebriavit. “Quis es?” exdamavit iratus Polyphemus. “Utis vocor” respondit Ulixes. Itaque Ulixes trunco ardenti oculum Cydopis exussit, sed ille damoe suo ceteros Cyclopes convocans, dixit: “Utis me excaecat!”. Amici Cyclopes neglexerunt verba sua, dicentes: “Polyphemus hodie aut deridet aut insanus est”. At Ulixes socios suos ad pécora alligavit et ita e spelunca eduxit.

Ulisse, giunse all’isola del Ciclope Polifemo, figlio di Nettuno. Polifemo una volta ebbe un responso dall’indovino Telemo: “Verrà Ulisse nella tua spelonca e da questo sarai accecato”. Il Ciclope aveva al centro della fronte un solo occhio e divorava con molta voracità carne umana. Questo, dopo che avava radunato il bestiame nella spelonca, era solito collocare alla porta un’ingente mole di pietra. Ulisse, avvicinandosi alla caverna, fu vinto dalla curiosità e oltrepassò la via. Polifemo chiuse dentro Ulisse, cominciò a divorare i suoi alleati. Ulisse, non resistendo all’enormità e alla ferocia del Ciclope, lo inebriò col vino. “Chi sei?” – esclamò irato Polifemo. “Mi chiamo nessuno” rispose Ulisse. E così Ulisse con un tronco ardente bruciò l’occhio del Ciclope, ma quello con il suo grido aveva convocato gli altri Ciclopi, disse “Nessuno mi acceca”. Gli amici Ciclopi trascurarono le sue parole, dicendo: “Polifemo oggi o ci deride o è pazzo”. Ma Ulisse legò alle pecore i suoi alleati e così li condusse fuori dalla spelonca.

“Teseo e Arianna”

Theseus posteaquam Cretam venit, ab Ariadne Minois filia est adamatus adeo, ut fratrem proderet et hospitem servaret; ea enim Theseo monstravit labyrinthi exitum, quo Theseus cum introisset et Minotaurum interfecisset, Ariadnes monitu licium revolvendo foras est egressus, eamque, quod fidem ei dederat, in coniugio secum habiturus avexit. Theseus in insula Dia tempestate retentus cogitans, si Ariadnen in patriam portasset, sibi opprobrium futurum, itaque in insula Dia dormientem reliquit; quam Liber amans inde sibi in coniugium abduxit. Theseus autem cum navigaret, oblitus est vela atra mutare, itaque Aegeus pater eius, credens Theseum a Minotauro esse consumptum, in mare se praecipitavit, ex quo Aegeum pelagus est dictum. Ariadnes autem sororem Phaedram Theseus duxit in coniugium.

Dopo che arrivò a Creta Teseo venne intensamente amato da Arrianna, figlia di Minosse, a tal punto che quella tradì il fratello e salvò l’ospite; ella indicò infatti l’uscita del labirinto, dopo che Teseo vi era entrato e aveva ucciso il Minotauro, su consiglio di Arianna, riavvolgendo il filo, ne uscì fuori, e dato che le aveva dato la sua parola, la portò via per sposarla. Teseo, trattenuto nell’isola di Dia da una tempesta, pensando che, se avesse portato Arianna in patria, sarebbe stato per lui un disonore, la lasciò così nell’isola di Dia mentre era addormentata; ma Libero (= Bacco), amandola, la portò via e se la sposò. Ma Teseo, mentre navigava, si dimenticò di cambiare la vela nera, e così suo padre Egeo, credendo che egli fosse stato ucciso dal Minotauro, si gettò in mare, ragione per cui quel mare venne chiamato Egeo. Poi Teseo sposò Fedra, sorella di Arianna.

“Il cavallo di Troia”

Cum Achivi per decern annos Troiam capere non valuissent, Epeus, monitu Minervae, equum mirae magnitudinis ligneum fecit. Intus sunt collecti Menelaus, Ulixes, Diomedes, Thessander, Sthenelus, Acamas, Thoas, Machaon, Neoptolemus, et in equo scripserunt: “Danaorum donum Minervae”; deinde castra traduxerunt Tenedum. Id Troiani cum viderunt, hostium profectioni crediderunt. Troianorum rex Priamus, ut equus in arcem Minervae duceretur, imperavit, feriatique ut omnes essent edixit. Cum vates Cassandra clamaret indicaretque Graecos milites in equo, fides ei data non est. Si equi venter apertus esset, Troiani hostium dolum patefecissent, sed, cum Troiani ex contrario equum in arcem statuissent et noctu, lusu atque vino lassi, obdormissent, Achivi ex equo eruperunt, portarum custodes occiderunt, sociosque, cum signum dedissent, receperunt et Troiam occupaverunt.

Poiché per dieci anni gli Achei non erano riusciti a prendere Troia, Epeo, su consiglio di Minerva, costruì un cavallo di legno di mirabile grandezza. All’interno si raccolsero Menelao, Ulisse, Diomede, Tessandro, Stenelo, Acamante, Toante, Macaone, Neottolemo e sul cavallo scrissero: “Dono dei Danai a Minerva”; poi trasferirono gli accampamenti a Tenedo. Avendo visto ciò, i Troiani credettero alla partenza dei nemici. Il re dei troiani, Priamo, ordinò che il cavallo fosse portato sulla rocca di Minerva, e stabilì che tutti fossero liberi da impegni. Per quanto la profetessa Cassandra gridasse e indicasse che i soldati Greci erano nel cavallo, a lei non fu data fiducia. Se il ventre del cavallo fosse stato aperto, i Troiani avrebbero scoperto l’inganno dei nemici, ma viceversa, avendo i Troiani collocato il cavallo sulla rocca e, di notte, essendosi addormentati, spossati dal gioco e dal vino, gli Achei balzarono fuori dal cavallo, uccisero le sentinelle alle porte, fecero entrare i compagni, ai quali avevano fatto un segnale, ed occuparono Troia.

“Il diluvio univerale nella tradizione greca”

Deucalion, Promethei filius, Thessalorum rex, fuit. Is uxorem duxit Pyrrham, filiam Epimethei et Pandorae, quam finxerunt dii primam mulierem. Iuppiter, quod homines magis magisque impii ac improbi fiebant, genus humanum delere statuit. Auctore Prometheo, Deucalion, cum arcam extruxisset et omnia necessaria comparavisset, cum uxore in eam conscendit. Cum Iuppiter de caelo magnos et assiduos imbres in terram profudisset, factum est ut magna pars Graeciae aquis obrueretur et omnes homines perirent, praeter paucos, qui in summos montes confugerunt. Sed mox etiam cacumina montium aquis mersa sunt. Deucalion per novem dies totidemque noctes mari procelloso arca vectus, tandem ad montem Parnassum pervenit ibique, imbribus remissis, arca exiit et Iovi hosias immolavit. Tum ab Iove missus est Mercurius Deucalionem rogaturus quid optaret. Is petivit ut genus humanum restitueretur. Tum Iovis iussu Deucalion et eius uxor lapides post tergum proiecerunt et lapides, quos Deucalion iecerat, viri facti sunt, lapides, quos Pyrrha iecerat, mulieres.

Deucalione, re dei Tessali, fu figlio di Prometeo. Egli sposò Pirra, figlia di Epimeteo e Pandora, che gli dei plasmarono come prima donna. Giove, poichè gli uomini diventavano sempre più crudeli e disonesti, decise di distruggere il genero umano. Per consiglio di Promèteo, Deucalione, avendo costruito un’arca e avendo preparato tutte le cose necessarie, si imbarcò su questa con Pirra. Giove allora, avendo riversato dal cielo molta ed incessante pioggia sulla terra, fu fatto in modo che la maggior parte della Grecia venisse sommersa dalle acque, e che tutti gli uomini perissero, tranne pochi che fuggirono sulle vicine alte montagne. Ma presto anche le vette dei monti furono sommerse dalle acque. Deucalione, trasportato dall’arca per il mare tempestoso per nove giorni ed altrettante notti, infine giunse al monte Parnaso e là, cessate le pioggie, sbarcò, e immolò vittime a Giove. Allora Mercurio fu inviato da Giove per chiedere a Deucalione cosa desiderasse. Egli chiese di ripristinare il genere umano. Allora per ordine di Giove Deucalione e sua moglie gettarono sassi alle spalle e i sassi, che Deucalione aveva lanciato, generarono uomini, i sassi, che aveva lanciato Pirra, (generarono) donne.

“Polissena”

Danai victores, cum ab Ilio classe conscenderent et cuprent in patriam suam quisque revertere et praedam quisque sibi ducere, ex sepulcro vocem achillis dicunt praedae partem expostulavisse. itaque Danai Polyxenam, Priami filiam, quae virgo fuit formosissima, propter quam Achilles, cum eam peteret et ad colloquium venisset ab Alexandro et Deiphobo est occisus, ad sepolcru, eius immolaverunt.

I Greci vittoriosi, andandosene da Ilio con la flotta e desiderando tornare ciascuno alla propria patria e portare ciascuno il bottino con sé, dicono che una voce dal sepolcro di Achille abbia chiesto una parte del bottino. Dunque i Danai immolarono al sepolcro di quest’ultimo Polissena, figlia di Priamo, la quale fu una fanciulla assai bella, a causa della quale Achille, chiedendola e essendo venuto a parlare fu ucciso da Alessandro e Deifobo.

Fabulae, 116 – Python (“Apollo uccide il serpente Pitone”)

Python Terrae filius draco ingens. Hic ante Apollinem ex oraculo in monte Parnasso responsa dare solitus erat. Huic ex Latonae partu interitus erat fato futurus. Eo tempore Iovis cum Latona Poli filia concubuit; hoc cum Iuno resciit, facit, ut Latona ibi pareret, quo sol non accederet. Python ubi sensit Latonam ex Iove gravidam esse, persequi coepit, ut eam interficeret. At Latonam Iovis iussu ventus Aquilo sublatam ad Neptunum pertulit; ille eam tutatus est, sed ne rescinderet Iunonis factum, in insulam eam Ortygiam detulit, quam insulam fluctibus cooperuit. Quod cum Python eam non invenisset, Parnassum redit. At Neptunus insulam Ortygiam in superiorem partem rettulit, quae postea insula Delus est appellata. Ibi Latona oleam tenens parit Apollinem et Dianam, quibus Vulcanus sagittas dedit donum. Post diem quartum quam essent nati, Apollo matris poenas exsecutus est; nam Parnassum venit et Pythonem sagittis interfecit (inde Pythius est dictus) ossaque eius in cortinam coniecit et in templo suo posuit, ludosque funebres ei fecit, qui ludi Pythia dicuntur.

Pitone, figlio di Tello, era un serpente immenso. Questo era solito rendere oracoli sul monte Parnaso prima di Apollo. A lui era stata preannunciata la morte per mano di un figlio di Latona. In quel tempo Giove giacque con Latona, figlia di Polo; quando Giunone lo venne a sapere, decretò che Latona partorisse in un luogo non toccato da Sole. Pitone fu informato che Latona era stata resa gravida da Giove e iniziò a inseguirla per ucciderla. Ma per volontà di Giove il vento Aquilone rapì Latona e la condusse presso Nettuno, il quale l’accolse, ma, non volendo disobbedire a un decreto di Giunone, la portò nell’isola di Ortigia, che fece scomparire sotto le onde. Pitone non riuscì a trovarla e dovette tornarsene al Parnaso; allora Nettuno riportò alla luce la cima dell’isola di Ortigia, che in seguito fu detta Delo. Fu in quel luogo che Latona, abbracciata a un ulivo, partorì Apollo e Diana, a cui Vulcano regalò le frecce. Quattro giorni dopo la nascita Apollo vendicò la madre: giunse sul Parnaso e uccise Pitone trafiggendolo con le sue frecce (da ciò deriva il soprannome Pizio), poi gettò le sue ossa in un tripode che collocò nel suo tempio e istituì in suo onore i giochi funebri che vengono detti Pitici.

Fabulae, 153 – Deucalion et Pyrrha

Cataclysmus, quod nos diluvium vel irrigationem dicimus, cum factum est, omne genus humanum interiit praeter Deucalionem et Pyrrham, qui in montem Aetnam, qui altissimus in Sicilia esse dicitur, fugerunt. Hi propter solitudinem cum vivere non possent, petierunt ab Iove, ut aut homines daret aut eos pari calamitate afficeret. Tum Iovis iussit eos lapides post se iactare; quos Deucalion iactavit, viros esse iussit, quos Pyrrha, mulieres. Ob eam rem laos dictus, laas enim Graece lapis dicitur.

Quando avvenne il cataclisma che noi chiamiamo diluvio oppure inondazione, tutta la razza umana perì a eccezione di Deucalione e Pirra che si rifugiarono sull’Etna, il monte più alto (si dice) che sorga in Sicilia. Essi non potevano sopravvivere per la solitudine; perciò pregarono Giove di concedere loro degli uomini oppure di annientarli come era successo agli altri. Allora Giove ordinò di gettare delle pietre dietro la schiena: quelle gettate da Deucalione divennero uomini, quelle da Pirra donne. Questa è l’origine della parola laos (popolo), poiché in greco laas significa pietra.

“Deucalione e Pirra”

Cum diluvium accidit, omne genus humanum intertiit praeter Deucalionem et Pyrrham, qui in Siciliam in montem Aetnam incolumes confugerunt. Hi quia propter solitudinem vivere non poterant, ab Iove petiverunt ut aut sibi homines comites daret aut eos pari calamitate puniret. Tum Iuppiter respondit: “Si lapides post terga vestra iactabitis, lapides a Deucalione iacti viri fient, lapides autem a Pyrrha iacti mulieres erunt”. Deucalion et Pyrrha Iovi oboediverunt: sic hominum genus, exstinctum antea, Iuppiter restituit.

Quando avvenne il diluvio, tutto il genere umano perì ad eccezione di Deucalione e Pirra, che si rifugiarono incolumi in Sicilia sul monte Etna. Essi, poichè non potevano sopravvivere per la solitudine, pregarono Giove di concedere loro degli uomini come compagni oppure di punirli con una pari calamità. Allora Giove rispose: “Se getterete delle pietre dietro la vostra schiena, le pietre gettate da Deucalione diventeranno uomini, mentre quelle gettate da Pirra saranno donne”. Deucalione e Pirra ubbidirono a Giove: così Giove ripristinò il genere umano, prima estinto.

Fabulae, 119 – Orestes

Orestes Agamemnonis et Clytaemnestrae filius postquam in puberem aetatem venit, studebat patris sui mortem exsequi; itaque consilium capit cum Pylade et Mycenas venit ad matrem Clytaemnestram, dicitque se Aeolium hospitem esse nuntiatque Orestem esse mortuum, quem Aegisthus populo necandum demandaverat. Nec multo post Pylades Strophii filius ad Clytaemnestram venit urnamque secum affert dicitque ossa Orestis condita esse; quos Aegisthus laetabundus hospitio recepit. Qui occasione capta Orestes cum Pylade noctu Clytaemnestram matrem et Aegisthum interficiunt. Quem Tyndareus cum accusaret, Oresti a Mycenensibus fuga data est propter patrem; quem postea furiae matris exagitarunt.

Quando Oreste, figlio di Agamennone e di Clitennestra, giunse alla giovinezza, non aveva altro in mente che vendicare la morte del padre; fece perciò un piano insieme a Pilade, si recò a Micene dalla madre Clitennestra, le disse che era uno straniero giunto dall’Eolia e le annunciò la morte di Oreste, che Egisto voleva far uccidere dal popolo. Non molto tempo dopo Pilade, figlio di Strofio, si presentò a Clitennestra portando con se un’urna e disse che questa conteneva le ossa di Oreste; al che Egisto, tutto contento, accolse amichevolmente entrambi. Cogliendo l’occasione, Oreste uccise nottetempo, con l’aiuto di Pilade, la madre Clitennestra ed Egisto. Quando Tindaro lo trascinò in giudizio, gli abitanti di Micene concessero a Oreste di andare in esilio, a causa di suo padre; in seguito fu perseguitato dalle Furie della madre.

Fabulae, 168 – Danaus (“Il mito delle Danaidi”)

Danaus Beli filius ex pluribus coniugibus quinquaginta filias habuit, totidem filios frater Aegyptus, qui Danaum fratrem et filias eius interficere voluit ut regnum paternum solus obtineret; filiis uxores a fratre poposcit; Danaus re cognita Minerva adiutrice ex Africa Argos profugit; tunc primum dicitur Minerva navem fecisse biproram in qua Danaus profugeret. At Aegyptus ut resciit Danaum profugisse, mittit filios ad persequendum fratrem, et eis praecepit ut aut Danaum interficerent aut ad se non reverterentur. Qui postquam Argos venerunt, oppugnare patruum coeperunt. Danaus ut vidit se eis obsistere non posse, pollicetur eis filias suas uxores ut pugna absisterent. Impetratas sorores patrueles acceperunt uxores, quae patris iussu viros suos interfecerunt. Sola Hypermestra Lynceum servavit. Ob id ceterae dicuntur apud inferos in dolium pertusum aquam ingerere. Hypermestrae et Lynceo fanum factum est.

Danao, figlio di Belo, ebbe da molte mogli cinquanta figlie, e altrettanti figli ebbe suo fratello Egitto, che deliberò di uccidere Danao e le figlie per possedere da solo il regno paterno. Allora chiede al fratello le figlie come spose per i suoi; saputa la cosa, Danao fugge dall’Africa ad Argo grazie al soccorso di Minerva: fu allora infatti che per la prima volta – si dice – Minerva costruì una nave con due prue, sulla quale Danao potesse andarsene. Ma Egitto viene a sapere della fuga di Danao e invia i figli a inseguire il fratello, ordinando loro di uccidere Danao o non tornare mai più. Sbarcati ad Argo, iniziano a combattere lo zio; quando Danao vede che ogni resistenza è inutile, promette le nozze delle figlie in cambio della sospensione della guerra; così i cugini paterni possono sposare le tanto desiderate sorelle. Ma queste, per ordine del padre, uccidono i mariti, con l’eccezione della sola Ipermestra che risparmiò Linceo. Per questa colpa si dice che le altre debbano tra gli Inferi attingere acqua con un orcio forato. In onore di Ipermestra e Linceo fu costruito un santuario.

Fabulae, 36 – Deianira

Deianira Oenei filia Herculis uxor cum vidit Iolen virginem captivam eximiae formae esse adductam verita est, ne se coniugio privaret. Itaque memor Nessi praecepti vestem tinctam centauri sanguine, Herculi qui ferret, nomine Licham famulum misit. Inde paulum, quod in terra deciderat et id sol attigit, ardere coepit. Quod Deianira ut vidit, aliter esse ac Nessus dixerat intellexit, et qui revocaret eum, cui vestem dederat, misit. Quam Hercules iam induerat statimque flagrare coepit; qui cum se in flumen coniecisset, ut ardorem extingueret, maior flamma exibat; demere autem cum vellet, viscera sequebantur. Tunc Hercules Licham, qui vestem attulerat, rotatum in mare iaculatus est, qui quo loco cecidit, petra nata est, quae Lichas appellatur. Tunc dicitur Philoctetes Poeantis filius pyram in monte Oetaeo construxisse Herculi, eumque ascendisse immortalitatem. Ob id beneficium Philocteti Hercules arcus et sagittas donavit. Deianira autem ob factum Herculis ipsa se interfecit.

Quando Deianira, figlia di Eneo e moglie di Ercole, vide arrivare prigioniera Iole, che era una fanciulla di straordinaria bellezza, temette che le rubasse il marito; perciò, memore del consiglio di Nesso, inviò a Ercole un servo di nome Lica, perché gli portasse una veste intinta nel sangue del Centauro. Ma poi un poco di quel sangue, che era sgocciolato per terra, toccato dal Sole, prese fuoco. Quando Deianira lo vide, capì che Nesso aveva mentito e mandò un uomo a richiamare il servo al quale aveva dato la veste. Ercole l’aveva però già indossata e aveva subito preso fuoco. Si gettò in un fiume per spegnere le fiamme, ma queste divamparono con maggior ardore; provò a togliersi la veste, ma veniva via anche la carne viva. Allora Ercole afferrò Lica, che gli aveva portato la veste, e dopo averlo fatto roteare lo gettò in mare; nel luogo dove cadde, sorse uno scoglio che è chiamato Lica. Si dice che poi Filottete, figlio di Peante, abbia innalzato una pira per Ercole sul monte Eta e che così quest’ultimo sia asceso all’immortalità. In compenso di questo favore, Ercole donò a Filottete il suo arco e le sue frecce; Deianira, per parte sua, si diede la morte a causa di ciò che era accaduto ad Ercole.

“Niobe”

Cum Tiresias vates iussisset Thebanos Latonae, Apollonis et Dianae matri, hostias immolare, Nioba, Thebanorum regis uxor, per urbem superba incedens, popolum a deae aris insolentibus verbis submovebat: “Cur, cives, ignotae deae sacrificare vultis? Omnes sciunt Tantalum patrem meum esse, Iovem, deorum patrem, avum meum (esse). Ego septem filios totidemque filias habeo, Latona mater est duorum tantum liberorum. Talem igitur deam ne colueritis!”. Thebani reginae dicto paruerunt. Sed Latona, Niobae superbiam aegre ferens, a filiis suis petivit ut iniuriam vindicarent et reginam poena afficerent. Statim Apollo et Diana ex Olympo Thebas descenderunt ac primum deus septem Niboae filios sagittis confodit. Sed, cum mater filiorum nece prostrata non esset, Diana omnes eius filias necavit. Narrant infelicem Niobam, maerore ac lacrimis confectam, a Iove in saxum mutatam esse.

Quando il vate Tiresia ordinò che i Tebani immolassero a Latona, madre di Apollo e Diana, delle vittime, Niobe, moglie del re dei Tebani, avanzando con superbia verso la città, allontanava il popolo dagli altari della dea con insolenti parole: “Perchè, cittadini, volete fare sacrifici ad una dea sconosciuta? Tutti sanno che Tantalo è mio padre, che Giove, padre degli dei, è mio nonno. Io ho sette figli e altrettante figlie, Latona è madre di soltanto due figli. Perciò non onorate tale dea!”. I Tebani obbedirono al comando della regina. Ma Latona, sopportando a stento la superbia di Niobe, chiese ai suoi figli di vendicare l’offesa e di punire la regina. Subito Apollo e Diana scesero dall’Olimpo a Tebe e il primo dio trafisse con delle frecce i sette figli di Niobe. Ma, poichè la madre non era avvilita per la morte dei figli, Diana uccise tutte le sue figlie. Si narra che l’infelice Niobe, distrutta dalla tristezza e dalle lacrime, fu trasformata da Giove in un sasso.

“La morte di Ercole”

Hercules, postquam Eurytum regem bello superavit, amore incensus est eius filiae, quae a regia domo in captivitatem adducta erat. Tum Deianira, id sentiens, minime stultum Centauri consilium putavit et tunicam Nexi, sanguine imbutam ad Herculem misit ut mariti amorem sibi conciliaret; heros, simul ac eam induit, per omnes artus veneno pervasus atque atrocissimis doloribus excruciatus, mortem iam imminentem sentiens atque omni spe destitutus, amicos exoravit ut in montem Oetam adduceretur et in rogum imponeretur. At ubi rogus incensus est et primae flammae per ligna serpserunt, subito nigra nube obtectus, ab Iove patre in Olympum adductus est et immortalis factus est. Tum Deianira, cum Nexi dolum intellexisset, mortem sibi ipsa conscivit.

Ercole, dopo che superò in guerra il re Eurito, fu rapito dall’amore di sua figlia, che era stata condotta prigioniera dalla reggia a casa. Allora Daianira, sentendo ciò, ritenne per niente sciocco il consiglio del centauro e mandò una tunica intrisa di sangue ad Ercole per conciliare a se stessa l’amore del marito; l’eroe, appena la indossò, pervaso dal veleno in tutti gli arti e tormentato dagli assai atroci dolori, sentendo che la morte era imminente e persa ogni speranza, pregò gli amici affinchè fosse condotto sul monte Eta e fosse posto sul rogo. Ma quando fu acceso il rogo e le prime fiamme serpeggiarono attraverso il legno, avvolto subito da una nube nera, fu condotto in olimpo dal padre Giove e fu reso immortale. Allora Daianira, avendo capito l’inganno di Nesso, si diede la morte.

“La leggenda di Enomao e l’origine delle Olimpiadi”

Oenomaus, rex Elidis, oraculo monitus erat ut generum suum cavaret. Itaque quia equi longe optimi totius Graeciae ei erant, palam edixerat: “Filiam meam Hippodamiam in matrimonium dabo ei qui primus curriculo eqorum me superaverit. Quem superavero, is vitam pessime amittet”. Tamen nonnulli adulescentes maximum periculum audacter neglegentes Hippodamiam sibi petiverunt. Quibus Oenomaus concedebat ut praecurrerent, inde lente currum ascendens equos suos incitabat ut vento celerius currerent; tum proprius accedens, adversarios suos pilo a tergo crudeliter perfodiebat. Olim Pelops, Tantali filius, amore fortissimo in Hoppidamiam captus, auxilium petivit a Neptuno qui equos omnium celerrimos ad iuvenis currum iunxit. Reliqui dei praeterea, ne Pelops necaretur, pessimi regis currum in mare praecipitaverunt. Tum Pelops Hippodamiam in matrimonium duxit et Olympia instituit, ut memoria illius curriculi quam diutissime maneret. Illa autem terra, cuius Elis pars est, a Pelopis nomine Peloponneus appellata est.

Enomao, re dell’Elide, era stato ammonito dall’oracolo a fare attenzione a suo genero. Perciò, poichè egli aveva cavalli migliori fra tutti quelli della Grecia, apertamente dichiarò: “Darò in matrimonio mia figlia Ippodamia a colui che per primo mi avrà superato nella corsa dei cavalli. Colui che mi avrà superato, perderà la vita nel modo peggiore”. Tuttavia alcuni giovani chiesero per se Ippodamia non tenendo conto del grandissimo pericolo. E a quelli Enomao concedeva di correre davanti a lui, quindi con lenti carri ascesero e incitarono i loro cavalli a correre più veloci del vento; allora facendosi più vicino, trafiggeva i suoi avversari alle spalle crudelmente con il giavellotto. Una volta Pelope, figlio di Tantalo, catturato da un fortissimo amore per Ippodamia, chiese aiuto a Nettuno che aggiogò i cavalli più veloci fra tutti al carro del giovane. Gli altri dei inoltre, per non fare uccidere Pelope, fecero precipitare il carro del malvagio re in mare. Allora Pelope condusse in matrimonio Ippodamia e istituì le Olimpiadi, affinchè il ricordo di quella gara rimanesse il più lungo possibile. Poi quella torre di cui l’Elide fa parte, fu chiamata Peloponneso dal nome di Pelope.

Fabulae, 92 – Paridis Iudicium (“Il giudizio di Paride”)

Iovis cum Thetis Peleo nuberet, ad epulum dicitur omnis deos convocasse excepta Eride, id est Discordia, quae cum postea supervenisset nec admitteretur ad epulum, ab ianua misit in medium malum, dicit, quae esset formosissima, attolleret. Iuno Venus Minerva formam sibi vindicare coeperunt, inter quas magna discordia orta, Iovis imperat Mercurio, ut deducat eas in Ida monte ad Alexandrum Paridem eumque iubeat iudicare. Cui Iuno, si secundum se iudicasset, pollicita est in omnibus terris eum regnaturum, divitem praeter ceteros praestaturum; Minerva, si inde victrix discederet, fortissimum inter mortales futurum et omni artificio scium; Venus autem Helenam Tyndarei filiam formosissimam omnium mulierum se in coniugium dare promisit. Paris donum posterius prioribus anteposuit Veneremque pulcherrimam esse iudicavit; ob id Iuno et Minerva Troianis fuerunt infestae. Alexander Veneris impulsu Helenam a Lacedaemone ab hospite Menelao Troiam abduxit eamque in coniugio habuit cum ancillis duabus Aethra et Thisadie, quas Castor et Pollux captivas ei assignarant, aliquando reginas.

Si dice che Giove, quando Tetide sposò Peleo, abbia invitato al banchetto tutti gli Dèi tranne Eris, cioè la Discordia; costei, quando poi giunse e non venne fatta entrare, gettò dalla porta una mela, dicendo che era destinata alla più bella. Giunone, Venere e Minerva subito la pretesero ognuna per se e cominciarono a contendere tra loro, per cui Giove ordinò a Mercurio di portarle sul monte Ida, da Paride Alessandro, e di far giudicare a lui. Giunone gli promise, se avesse deciso in suo favore, che avrebbe regnato sul mondo intero e sarebbe stato il più ricco di tutti; Minerva gli promise, se fosse uscita vittoriosa, di farlo diventare il più valoroso tra i mortali, oltre che abile in ogni arte; Venere, invece, promise di dargli in moglie Elena, figlia di Tindaro, la più bella fra tutte le donne. Paride preferì quest’ultimo dono ai precedenti e dichiarò che Venere era la più bella; per questo motivo Giunone e Minerva divennero nemiche dei Troiani. Alessandro, istigato da Venere, rapì Elena a Menelao, di cui era ospite: la portò da Sparta a Troia – assieme a Etra e Tisadie, prigioniere, ma un tempo regine, che le erano state assegnate come ancelle da Castore e Polluce – e la sposò.

Fabulae, 91 – Alexander Paris

Priamus Laomedontis filius cum complures liberos haberet ex concubitu Hecubae Cissei sive Dymantis filiae, uxor eius praegnans in quiete vidit se facem ardentem parere, ex qua serpentes plurimos exisse. Id visum omnibus coniectoribus cum narratum esset, imperant, quicquid pareret, necaret, ne id patriae exitio foret. Postquam Hecuba peperit Alexandrum, datur interficiendus, quem satellites misericordia exposuerunt; eum pastores pro suo filio repertum expositum educarunt eumque Parim nominaverunt. Is cum ad puberem aetatem pervenisset, habuit taurum in deliciis; quo cum satellites missi a Priamo, ut taurum aliquis adduceret, venissent, qui in athlo funebri, quod ei fiebat, poneretur, coeperunt Paridis taurum abducere. Qui persecutus est eos et inquisivit, quo eum ducerent; illi indicant se eum ad Priamum adducere ei, qui vicisset ludis funebribus Alexandri. Ille amore incensus tauri sui descendit in certamen et omnia vicit, fratres quoque suos superavit. Indignans Deiphobus gladium ad eum strinxit; at ille in aram Iovis Hercei insiluit; quod cum Cassandra vaticinaretur eum fratrem esse, Priamus eum agnovit regiaque recepit.

Priamo, figlio di Laomedonte, aveva già avuto molti figli da Ecuba, figlia di Cisseo o di Dimante, quando sua moglie, di nuovo incinta, sognò di partorire una fiaccola ardente da cui uscivano tanti serpenti Tutti gli indovini ai quali venne riferita questa visione ordinarono di uccidere il nascituro, chiunque mai fosse, perché non portasse la patria alla rovina. Quando Ecuba partorì Alessandro, il bambino fu dato ai servi perché lo uccidessero, ma questi per pietà lo esposero; alcuni pastori lo trovarono, lo allevarono come se fosse stato figlio loro e lo chiamarono Paride. Il ragazzo, giunto all’adolescenza, si era molto affezionato a un certo toro. Alcuni servi, che erano stati mandati da Priamo a prendere un toro da dare in premio nei giochi funebri in onore dello stesso Paride, cominciarono a condurre via il toro di Paride, il quale li inseguì, chiedendo dove lo portassero; quelli risposero che lo stavano portando a Priamo, per darlo al vincitore dei ludi funebri in onore di Alessandro. Allora Paride, per amore del suo toro, partecipò alle gare e le vinse tutte, battendo anche i suoi fratelli. Deifobo, in preda all’ira, sguainò la spada contro di lui, ma Paride saltò sull’altare di Giove Erceo. Cassandra dichiarò, ispirata, che quello era loro fratello, al che Priamo lo riconobbe e lo accolse nella reggia.

Fabulae, 103 – Protesilaus

Achiuis fuit responsum, qui primus litora Troianorum attigisset periturum, cum Achiui classes applicuissent, ceteris cunctantibus Iolaus Iphicli et Diomedeae filius primus e naui prosiluit, qui ab Hectore confestim est interfectus; quem cuncti appellarunt Protesilaum, quoniam primus ex omnibus perierat. Quod uxor Laodamia Acasti filia cum audisset eum perisse, flens petit a diis ut sibi cum eo tres horas colloqui liceret. quo impetrato a Mercurio reductus tres horas cum eo collocuta est; quod iterum cum obisset Protesilaus, dolorem pati non potuit Laodamia.

Venne profetizzato agli Achei che il primo a mettere piede sulla spiaggia di Troia vi avrebbe perso la vita, sicché una volta gettata l’ancora tutti esitavano; allora Iolao, figlio di Ificlo e Diomeda, saltò a terra per primo e venne subito ucciso da Ettore: perciò lo chiamarono Protesilao, perché era stato il primo tra tutti a morire. Quando sua moglie Laodamia, figlia di Acasto, venne a sapere che il marito era morto, supplicò piangendo gli Dèi di concederle un colloquio di tre ore con lui. La preghiera di Laodamia fu esaudita: Protesilao le fu riportato da Mercurio e per tre ore ella s’intrattenne con lui, ma quando poi morì per la seconda volta, Laodamia non resse al dolore.

Fabulae, 147 – Triptolemus

Cum Ceres Proserpinam filiam suam quaereret, devenit ad Eleusinum regem, cuius uxor Cothonea puerum Triptolemum pepererat, seque nutricem lactantem simulavit. Hanc regina libens nutricem filio suo recepit. Ceres cum vellet alumnum suum immortalem reddere, interdiu lacte divino alebat, noctu clam in igne obruebat. Itaque praeterquam solebant mortales crescebat; et sic fieri cum mirarentur parentes, eam observaverunt. Cum Ceres eum vellet in ignem mittere, pater expavit. Illa irata Eleusinum exanimavit, at Triptolemo alumno suo aeternum beneficium tribuit. Nam fruges propagatum currum draconibus iunctum tradidit, quibus vehens orbem terrarum frugibus obsevit. Postquam domum rediit, Celeus eum pro benefacto interfici iussit. Sed re cognita iussu Cereris Triptolemo regnum dedit, quod ex patris nomine Eleusinum nominavit, Cererique sacrum instituit, quae Thesmophoria Graece dicuntur.

Mentre cercava sua figlia Proserpina, Cerere giunse presso il re Eleusino, la moglie del quale, Cotonea, aveva partorito un bambino, Trittolemo, ed ella si finse una balia. La regina la accolse volentieri come nutrice per suo figlio. Cerere, volendo rendere il suo discepolo immortale, di giorno lo nutriva con del latte divino, mentre di notte, di nascosto, lo nascondeva nel fuoco. E così cresceva più di quanto erano soliti i mortali; e poiché i genitori si meravigliavano che ciò accadesse in questi termini, la sorvegliarono. Visto che Cerere voleva buttare il bambino nel fuoco, il padre si spaventò. Ella, arrabbiata, uccise Eleusino, mentre concesse al suo discepolo Trittolemo un privilegio eterno. Infatti, per diffondere i frutti, gli consegnò un carro legato a dei dragoni, viaggiando sui quali seminò le messi nel mondo. Dopo essere tornato in patria Celeo ordinò di ucciderlo in cambio di un beneficio. Ma venuto a conoscenza della situazione, per ordine di Cerere, affidò a Trittolemo il regno, che chiamo Eleusino dal nome del padre, e lo stabilì sacro a Cerere, che in lingua greca viene chiamata Tesmoforia.

Fabulae, 51 – Alcestis

Alcestim Peliae et Anaxibies Biantis filiae filiam complures proci petebant in coniugium; Pelias vitans eorum condiciones repudiavit et simultatem constituit ei se daturum, qui feras bestias ad currum iunxisset et Alcestim in coniugio avexisset. Itaque Admetus ab Apolline petiit, ut se adiuvaret. Apollo autem, quod ab eo in servitutem liberaliter esset acceptus, aprum et leonem ei iunctos tradidit, quibus ille Alcestim avexit. Et illud ab Apolline accepit, ut pro se alius voluntarie moreretur. Pro quo cum neque pater neque mater mori voluisset, uxor se Alcestis obtulit et pro eo vicaria morte interiit; quam postea Hercules ab inferis revocavit.

Molti erano i corteggiatori che ambivano al matrimonio con Alcesti, figlia di Pelia, e Anassibia, figlia di Biante. Pelia rifiutò le loro offerte e stabilì il patto che avrebbe concesso la figlia a chi avesse aggiogato allo stesso carro delle bestie selvagge e su quello avesse condotto Alcesti alla cerimonia nuziale. Così Admeto pregò Apollo di aiutarlo. Apollo, che era stato trattato benignamente da lui durante il suo periodo di schiavitù, gli consegnò già aggiogati un cinghiale e un leone, con i quali egli si portò via Alcesti. Ottenne anche da Apollo questo dono: che qualcuno avesse la possibilità di morire al suo posto. Dunque, quando ne suo padre ne sua madre vollero morire per lui, si offrì sua moglie Alcesti e si sostituì a lui nella morte; ma successivamente Ercole la fece tornare dal regno dei morti.

Fabulae, 116 – Nauplius

Ilio capto et divisa praeda Danai cum domum redirent, ira deorum, quod fana spoliaverant et quod Cassandram Aiax Locrus a signo Palladio abripuerat, tempestate et flatibus adversis ad saxa Capharea naufragium fecerunt. In qua tempestate Aiax Locrus fulmine est a Minerva ictus, quem fluctus ad saxa illiserunt, unde Aiacis petrae sunt dictae; ceteri noctu cum fidem deorum implorarent, Nauplius audivit sensitque tempus venisse ad persequendas filii sui Palamedis iniurias. Itaque tamquam auxilium eis afferret, facem ardentem eo loco extulit, quo saxa acuta et locus periculosissimus erat; illi credentes humanitatis causa id factum naves eo duxerunt, quo facto plurimae earum confractae sunt militesque plurimi cum ducibus tempestate occisi sunt membraque eorum cum visceribus ad saxa illisa sunt; si qui autem potuerunt ad terram natare, a Nauplio interficiebantur. At Ulixem ventus detulit ad Maronem, Menelaum in Aegyptum, Agamemnon cum Cassandra in patriam pervenit.

Quando i Danai stavano ritornando in patria, dopo la presa di Troia e la divisione del bottino, fecero naufragio sulle scogliere di Cafareo a causa di una tempesta e dei venti avversi mandati dagli Dèi, adirati perché avevano saccheggiato i templi e perché Aiace di Locri aveva strappato Cassandra dalla statua di Pallade. Durante quella tempesta Aiace di Locri fu colpito da un fulmine scagliato da Minerva e venne sbattuto dai flutti contro le rocce, che da allora sono dette rocce di Aiace. Di notte, Nauplio udì gli altri che imptoravano l’aiuto degli Dèi e capì che era giunto il momento di vendicare le offese patite da suo figlio Palamede; e così, come se stesse cercando di aiutarli, portò una fiaccola accesa proprio nel punto più pericoloso, dove gli scogli erano più aguzzi. Quelli, credendo che lo facesse per generosità, diressero le navi verso quel punto; di conseguenza molte navi furono distrutte, moltissimi soldati morirono nella tempesta insieme ai loro comandanti e le loro membra e le loro viscere furono dilaniate dalle rocce. Coloro che riuscirono a nuotare fino a terra vennero uccisi da Nauplio. Ma il vento spinse Ulisse presso Marone e portò Menelao in Egitto, mentre Agamennone arrivò in patria con Cassandra.

Fabulae, 41 – Minos

Minos Iovis et Europae filius cum Atheniensibus belligeravit, cuius filius Androgeus in pugna est occisus. Qui posteaquam Athenienses vicit, vectigales Minois esse coeperunt; instituit autem, ut anno uno quoque septenos liberos suos Minotauro ad epulandum mitterent. Theseus posteaquam a Troezene venerat et audiit, quanta calamitate civitas afficeretur, voluntarie se ad Minotaurum pollicitus est ire. Quem pater cum mitteret, praedixit ei, ut, si victor reverteretur, vela candida in navem haberet; qui autem ad Minotaurum mittebantur, velis atris navigabant.

Minosse, figlio di Giove e di Europa, combatte contro gli Ateniesi e suo figlio Androgeo venne ucciso in battaglia. Dopo che Minosse ebbe sconfitto gli Ateniesi, questi divennero suoi tributari; egli stabilì inoltre che ogni anno gli mandassero sette dei loro figli, da dare in pasto al Minotauro. Quando Teseo, arrivato da Trezene, udì da quale terribile disgrazia fosse stata colpita la città, promise di andare a battersi con il Minotauro. Il padre, alla partenza, gli raccomandò di far issare vele bianche sulla sua nave, nel caso tornasse vincitore; invece coloro che venivano mandati dal Minotauro navigavano con vele nere.

Fabulae, 40 – Pasiphae

Pasiphae Solis filia uxor Minois sacra deae Veneris per aliquot annos non fecerat. Ob id Venus amorem infandum illi obiecit, ut taurum […] amaret. In hoc Daedalus exsul cum venisset, petiit ab eo auxilium. Is ei vaccam ligneam fecit et verae vaccae corium induxit, in qua illa cum tauro concubuit; ex quo compressu Minotaurum peperit capite bubulo parte inferiore humana. Tunc Daedalus Minotauro labyrinthum inextricabili exitu fecit, in quo est conclusus. Minos re cognita Daedalum in custodiam coniecit, at Pasiphae eum vinculis liberavit; itaque Daedalus pennas sibi et Icaro filio suo fecit et accommodavit et inde avolarunt. Icarus altius volans a sole cera calefacta decidit in mare, quod ex eo Icarium pelagus est appellatum. Daedalus pervolavit ad regem Cocalum in insulam Siciliam. Alii dicunt: Theseus cum Minotaurum occidit, Daedalum Athenas in patriam suam reduxit.

Pasifae, figlia di Sole e moglie di Minosse, per molti anni non fece sacrifici alla Dea Venere; per questo motivo, Venere le ispirò un amore mostruoso, sicché cominciò ad amare in modo anormale un toro che le era caro. Quando Dedalo arrivò esule a Creta, le chiese aiuto e in cambio fece per lei una vacca di legno e la rivestì della pelle di una vacca vera, sicché, entrandovi, Pasifae poté giacere col toro. Da questo amplesso partorì il Minotauro, che aveva la testa di un toro e la parte inferiore umana. Dedalo costruì per il Minotauro un labirinto dall’uscita introvabile, in cui venne rinchiuso il mostro. Minosse, venuto a conoscenza di tutta la faccenda, gettò Dedalo in prigione, ma Pasifae lo liberò dalle sue catene; allora Dedalo fabbricò delle ali, le adattò a se e a suo figlio Icaro e i due fuggirono da Creta volando. Ma poi che Icaro volle salire troppo in alto, Sole sciolse la cera e il ragazzo precipitò nel mare, che da lui fu chiamato Icario. Dedalo arrivò in volo presso il re Cocalo, nell’isola di Sicilia. Altri dicono che, quando Teseo uccise il Minotauro, riportò Dedalo ad Atene, la sua patria.

Fabulae, 39 – Daedalus

Daedalus Eupalami filius, qui fabricam a Minerva dicitur accepisse, Perdicem sororis suae filium propter artificii invidiam, quod is primum serram invenerat, summo tecto deicit. Ob id scelus in exsilium ab Athenis Cretam ad regem Minoem abiit.

Dedalo, figlio di Eupalamo, che a quanto si dice aveva ricevuto la sua abilità da Minerva, gettò dall’alto del tetto il figlio di sua sorella, Perdice, geloso della sua bravura, poi che era stato lui a inventare per primo la sega. Per questo delitto, fu mandato in esilio da Atene a Creta, presso il re Minosse.

Fabulae, 30 – Herculis athla duodecim ab Eurystheo imperata

Infans cum esset, dracones duos duabus manibus necavit, quos Iuno miserat, unde primigenius est dictus. Leonem Nemaeum, quem Luna nutrierat in antro amphistomo atrotum, necavit, cuius pellem pro tegumento habuit. Hydram Lernaeam Typhonis filiam cum capitibus novem ad fontem Lernaeum interfecit. Haec tantam vim veneni habuit, ut afflatu homines necaret, et si quis eam dormientem transierat, vestigia eius afflabat et maiori cruciatu moriebatur. Hanc Minerva monstrante interfecit et exinteravit et eius felle sagittas suas tinxit; itaque quicquid postea sagittis fixerat, mortem non effugiebat, unde postea et ipse periit in Phrygia. Aprum Erymanthium occidit. Cervum ferocem in Arcadia cum cornibus aureis vivum in conspectu Eurysthei regis adduxit. Aves Stymphalides in insula Martis, quae emissis pennis suis iaculabantur, sagittis interfecit. Augeae regis stercus bobile uno die purgavit, maiorem partem Iove adiutore; flumine ammisso totum stercus abluit. Taurum, cum quo Pasiphae concubuit, ex Creta insula Mycenis vivum adduxit. Diomedem Thraciae regem et equos quattuor eius, qui carne humana vescebantur, cum Abdero famulo interfecit; equorum autem nomina Podargus Lampon Xanthus Dinus. Hippolyten Amazonam, Martis et Otrerae reginae filiam, cui reginae Amazonis balteum detraxit; tum Antiopam captivam Theseo donavit. Geryonem Chrysaoris filium trimembrem uno telo interfecit. Draconem immanem Typhonis filium, qui mala aurea Hesperidum servare solitus erat, ad montem Atlantem interfecit, et Eurystheo regi mala attulit. Canem Cerberum Typhonis filium ab inferis regi in conspectum adduxit.

Era ancora in fasce che uccise, a mani nude, due enormi serpenti, inviatigli da Giunone, ragion per cui venne detto “primigenius”. Uccise, soffocandolo, il leone di Nemèa, che la Luna aveva allevato in un anfratto dotandolo di una pelle invulnerabile, che (Ercole) utilizzò come indumento. Uccise l’Idra di Lèrna, dalle nove teste, figlia di Tifone, nei pressi della sorgente di Lerna. Costei era dotata di una tal virulenza velenosa, da uccidere gli uomini col (solo) respiro, e se qualcuno le capitava vicino, mentre quella stava dormendo, e ne annusava l’odore che proveniva dalle zampe, moriva tra tormenti ancor più atroci. Riuscì ad ucciderla seguendo i suggerimenti di Minerva, la sventrò e col fiele (che ne ricavò) intinse le proprie frecce; di modo che, qualunque cosa avesse colpito, in seguito, con (quelle) frecce, andava incontro a morte sicura: tant’è vero che egli stesso morì in Frigia. Uccise il Cinghiale d’Erimanto. Portò al cospetto di Euristeo la terribile cerva dalle corna d’oro (che viveva) in Arcadia. Uccise, trafiggendoli con le frecce, gli Uccelli del Lago Stinfalo – nell’isola di Marte – che infilzavano (i malcapitati) lanciando le proprie penne (a mo’ di frecce). In un sol giorno, riuscì a nettare, in buona parte con l’aiuto di Giove, le stalle di Augia da stabbio e letame. Spazzò via il letame deviando (nelle stalle) il corso di un fiume. (L’eroe) catturò vivo e condusse a Micene il Toro dell’isola di Creta, col quale Pasife si era accoppiata. Uccise Diomede, re di Tracia, e le sue quattro cavalle, che si nutrivano di carne umana, insieme al servitore Abdero: le cavalle si chiamavano Podargo, Lampone, Xanto e Dino. Sottrasse il Cinto ad Ippolita, regina delle Amazzoni, figlia di Marte e della regina Otrera. Diede in isposa a Teseo Antiope, dopo averla fatta prigioniera. Uccise, con un sol colpo di freccia, Gerione, figlio di Crisaore, (gigante) con tre corpi. Uccise il gigantesco drago (Ladòne), figlio di Tifone, che custodiva i pomi d’oro (del giardino) delle Esperidi, sul monte Atlante, e portò i pomi al re Euristeo. Infine, condusse, dagli inferi al cospetto del re, il cane Cerbero, figlio di Tifone.

Fabulae, 181 – Diana

Diana cum in valle opacissima cui nomen est Gargaphia aestivo tempore fatigata ex assidua venatione se ad fontem cui nomen est Parthenius perlueret, Actaeon Cadmi nepos, Aristaei et Autonoes filius, eundem locum petens ad refrigerandum se et canes, quos exercuerat feras persequens, in conspectum deae incidit: qui ne loqui posset, in cervum ab ea est conversus. ita pro cervo laceratus est a suis canibus, quorum nomina, masculi: Melampus, Ichnobates, Echnobas, Pamphagos, Dorceus, Oribasus, Nebrophonos, Laelaps, Theron, Pterelas, Agre, Hylaeus, Nape, Ladon, Asbolus, Poemenis, Therodanapis, Aura, Lacon, Harpyia, Aello, Dromas, Thous, Canache, Cyprius, Sticte, Labros, Arcas, Argiodus, Tigris, Hylactor, Alce, Harpalus, Lycisce, Melaneus, Lachne, Leucon. item tres qui eum [Gnosius] consumpserunt foeminae Melanchaetes, Agre, Theridamas, Oresitrophos. Item alii auctores tradunt haec nomina: Acamas Syrus Aeon Stilbon Agrius Charops Aethon Coran Boreas Draco Eudromus Dromius Zephyrus Lampus Haemon Cyllopodes Harpalycus Machimus Ichneus Melampus Ocydromus Borax Ocythous Pachitus Obrimus, foeminae: Argo Arethusa Urania Theriope Dinomache Dioxippe Echione Gorgo Cyllo Harpyia Lynceste Leaene Lacaena Ocypete Ocydrome Oxyroe Orias +Sagnos Theriphone Volatos Chediaetros.

Un giorno d’estate in cui Diana, stanca della lunga caccia, si stava lavando in una fonte chiamata Partendo in un’ombrosissima valle detta Gargafia, in quello stesso luogo giunse Atteone, nipote di Cadmo e figlio di Aristeo e Autonome, per ristorare se stesso e i suoi cani che aveva sfinito nell’inseguimento delle fiere. Egli dunque si trovò davanti alla Dea; e perché non lo raccontasse a nessuno, ella lo trasformò in cervo, e come cervo egli venne sbranato dai suoi stessi cani. I loro nomi sono tra i maschi: Melampo, Icnobate, Pamfago, Dorceo, Oribaso, Nebrofono, Lelape, Terone, Pterelao, Ileo, Nape, Ladone, Pemenide, Terodanapi, Aura, Lacone, Arpia, Aello, Dromade, Too, Canace, Ciprio, Sticte, Labro, Arcade, Agriodo, Tigri, Pletore, Alce. Arpalo, Licisco, Melaneo, Lacne, Leucone. Le tre femmine, che come loro lo uccisero sono: Melanchete, Agre, Teridamante, Oresitrofo. Altri autori invece tramandano questi nomi: Acamante, Siro, Leone (…) Obrilo; le femmine furono: Argo, Artetusa, Urania (…), Chedrieto.

Fabulae, 63 – Danae

Danae Acrisii et Aganippes filia. Huic fuit fatum, ut, quod peperisset Acrisium interficeret; quod timens Acrisius, eam in muro lapideo praeclusit. Iovis autem in imbrem aureum conversus cum Danae concubuit, ex quo compressu natus est Perseus. Quam pater ob stuprum inclusam in arca cum Perseo in mare deiecit. Ea voluntate Iovis delata est in insulam Seriphum, quam piscator Dictys cum invenisset, effracta ea vidit mulierem cum infante, quos ad regem Polydectem perduxit, qui eam in coniugio habuit et Perseum educavit in templo Minervae. Quod cum Acrisius rescisset eos ad Polydectem morari, repetitum eos profectus est; quo cum venisset, Polydectes pro eis deprecatus est, Perseus Acrisio avo suo fidem dedit se eum numquam interfecturum. Qui cum tempestate retineretur, Polydectes moritur; cui cum funebres ludos facerent, Perseus disco misso, quem ventus distulit in caput Acrisii, eum interfecit. Ita quod voluntate sua noluit, deorum factum est; sepulto autem eo Argos profectus est regnaque avita possedit.

A Danae, figlia di Acrisio e Aganippe, era stato predetto che il figlio da lei partorito avrebbe ucciso Acrisio; allora il padre, temendo che la profezia si avverasse, la rinchiuse in una prigione dai muri di pietra. Ma Giove, mutatosi in una pioggia d’oro, giacque con Danae; da quell’amplesso nacque Perseo. Il padre, a causa dell’atto impudico, la rinchiuse insieme a Perseo in un cofano, che gettò in mare. Per volere di Giove il cofano fu sospinto fino all’isola di Serifo; quando il pescatore Ditti, che lo trovò e lo forzò, vide la donna con il bambino, li portò dal re Polidette, che sposò Danae e fece allevare Perseo nel tempio di Minerva. Non appena Acrisio venne a sapere che i due erano alla corte di Polidette, partì per andare a riprenderseli; quando arrivò, Polidette intervenne in loro favore e Perseo giurò al nonno che non l’avrebbe mai ucciso. Acrisio fu poi trattenuto colà da una tempesta e nel frattempo Polidette morì. Vennero indetti dei giochi funebri in suo onore, durante i quali un disco lanciato da Perseo, deviato dal vento, colpì al capo Acrisio, uccidendolo; e così ciò che Perseo non volle fare di sua volontà fu compiuto dagli Dèi. Una volta sepolto Polidette, Perseo partì per Argo e prese possesso del regno del nonno.

Fabulae, 96 – Achilles

Thetis Nereis, cum sciret Achillem filium suum quem ex Peleo habebat, si ad Troiam expugnandam isset, periturum (esse), commendavit eum in insulam Scyron ad Lycomedem regem, quem ille inter virgines filias, habitu feminino, servabat mutato nomine; nam virginas Pyrrham nomiaverunt, quondam capillis flavi fuit et Grasce rufum pyrrhon dicitur. Achivi autem, cum rescissent ibi eum occultari, ad regem Lycomedem oratores miserunt qui rogarent ut eum adiutorium Danais mitteret. Rex, cum negaret apud se esse, potestatem eis fecit ut in regia quaererent. Qui cum intellegere non possent quis esset earum, ulixes in regio vestibolo munera femminea posuit, in quibus clipeum et hastam, et subito tubicinem iussit canere armorumque crepitum et clamorem fieri iussit. Achilles, hostem arbitrans esse, vestem muliebrem dilaniavit atque clipeum et hastam arripuit. Ex hoc est cognitus suasque operas Argivis promisit et milites Myrmidones.

Teti, figlia di Nereo, quando seppe che suo figlio Achille, che aveva da Peleo, sarebbe morto se fosse andato ad espugnare Troia, lo condusse nell’isola di Sciro dal re Licomede, tra le sue figlie ancora ragazze, in abiti femminili dopo avergli cambiato nome; infatti le ragazze lo chiamarono Pirra, poiché era di capelli biondi e in greco biondo si dice “phirron”. Ma gli Achei, quando seppero che egli era nascosto là, mandarono dei messaggeri dal re Licomede, che chiedevano lo mandasse in aiuto ai Danai. Il re, poiché negò che fosse presso di lui, diede loro il permesso di ricercarlo nella reggia. Poiché non potevano capire chi fosse tra quelle, Ulisse mise all’ingresso del palazzo dei doni femminili, tra i quali uno scudo e una lancia, e subito ordinò al trombettiere di suonare e comandò che si facessero uno strepito d’armi e un grido di battaglia. Achille, che pensava fosse il nemico, strappò via la veste femminile e afferrò lo scudo e la lancia. Da ciò fu scoperto e promise i suoi servigi agli Argivi e i soldati Mirmidoni.