“Un drammatico episodio della guerra civile”

Postquam impulsos sensit Antonius, denso agmine obturbabat, laxati ordines abrumpuntur, nec restitui quivere impedientibus vehiculis tormentisque. Per limitem viae sparguntur festinatione consectandi victores. Eo notabilior caedes fuit, quia filius patrem interfecit. Rem nominaque auctore Vipstano Messala tradam. Iulius Mansuetus ex Hispania, Rapaci legioni additus, impubem filium domi liquerat. Is mox adultus, inter septimanos a Galba conscriptus, oblatum forte patrem et vulnere stratum dum semianimem scrutatur, agnitus agnoscensque et exanguem amplexus, voce flebili precabatur placatos patris manis, neve se ut parricidam aversarentur: publicum id facinus; et unum militem quotam civilium armorum partem? Simul attollere corpus, aperire humum, supremo erga parentem officio fungi. Advertere proximi, deinde plures: hinc per omnem aciem miraculum et questus et saevissimi belli execratio. Nec eo segnius propinquos adfinis fratres trucidant spoliant: factum esse scelus loquuntur faciuntque.

Quando Antonio li sentì vicini a cedere, esercita una pressione a ranghi serrati e ne dissesta le linee. Queste si disgregano e aprono varchi non più colmabili, per l’intralcio dei carri e delle macchine da guerra. I vincitori si riversano lungo il tracciato stradale, in un precipitoso inseguimento. Significativo rilievo diede alla strage l’uccisione di un padre per mano del figlio. Ricorderò i fatti e i nomi come li riferisce Vipstano Messalla. Giulio Mansueto, originario della Spagna, appartenente alla legione Rapace, aveva lasciato a casa il figlio ancora bambino. Costui si fece grande, fu arruolato da Galba nella Settima legione; volle il caso che si trovasse di fronte il padre: lo colpisce, lo abbatte e, mentre lo spoglia, il morente è da lui riconosciuto e lo riconosce. Allora se lo stringe spirante fra le braccia e, in singhiozzi, supplicava i mani paterni che si lasciassero placare e non lo rifiutassero come parricida. Quel delitto è di tutti: che parte poteva avere un solo soldato nella guerra civile? Il figlio solleva il corpo, scava la fossa, rende al padre le estreme onoranze. Videro questo i più vicini, poi lo seppero tanti altri, e per tutto l’esercito si diffonde stupore, pena, esecrazione di una guerra come nessun’altra feroce. Senza sosta intanto trucidano, spogliano parenti, consanguinei, fratelli; dicono che è un delitto e intanto lo compiono.

Historiae, III, 25

Vagus inde an consilio ducis subditus rumor, advenisse Mucianum, exercitus in vicem salutasse. Gradum inferunt quasi recentibus auxiliis aucti, rariore iam Vitellianorum acie, ut quos nullo rectore suus quemque impetus vel pavor contraheret diduceretve. Postquam impulsos sensit Antonius, denso agmine obturbabat, laxati ordines abrumpuntur, nec restitui quivere impedientibus vehiculis tormentisque. Per limitem viae sparguntur festinatione consectandi victores. Eo notabilior caedes fuit, quia filius patrem interfecit. Rem nominaque auctore Vipstano Messala tradam. Iulius Mansuetus ex Hispania, Rapaci legioni additus, impubem filium domi liquerat. Is mox adultus, inter septimanos a Galba conscriptus, oblatum forte patrem et vulnere stratum dum semianimem scrutatur, agnitus agnoscensque et exanguem amplexus, voce flebili precabatur placatos patris manis, neve se ut parricidam aversarentur: publicum id facinus; et unum militem quotam civilium armorum partem? Simul attollere corpus, aperire humum, supremo erga parentem officio fungi. Advertere proximi, deinde plures: hinc per omnem aciem miraculum et questus et saevissimi belli execratio. Nec eo segnius propinquos adfinis fratres trucidant spoliant: factum esse scelus loquuntur faciuntque.

Si diffonde la voce, ma forse era un’ingegnosa trovata di Antonio, dell’arrivo di Muciano e che quello fosse il saluto scambiato fra i due eserciti. Avanzano i Flaviani, come moltiplicati da rinforzi appena giunti, mentre le linee dei Vitelliani perdono di compattezza, perchè, lasciati senza una guida, serravano le file o le diradavano sotto l’unica spinta della combattività o della paura. Quando Antonio li sentì vicini a cedere, esercita una pressione a ranghi serrati e ne dissesta le linee. Queste si disgregano e aprono varchi non più colmabili, per l’intralcio dei carri e delle macchine da guerra. I vincitori si riversano lungo il tracciato stradale, in un precipitoso inseguimento. Significativo rilievo diede alla strage l’uccisione di un padre per mano del figlio. Ricorderò i fatti e i nomi come li riferisce Vipstano Messalla. Giulio Mansueto, originario della Spagna, appartenente alla legione Rapace, aveva lasciato a casa il figlio ancora bambino. Costui si fece grande, fu arruolato da Galba nella Settima legione; volle il caso che si trovasse di fronte il padre: lo colpisce, lo abbatte e, mentre lo spoglia, il morente è da lui riconosciuto e lo riconosce. Allora se lo stringe spirante fra le braccia e, in singhiozzi, supplicava i mani paterni che si lasciassero placare e non lo rifiutassero come parricida. Quel delitto è di tutti: che parte poteva avere un solo soldato nella guerra civile? Il figlio solleva il corpo, scava la fossa, rende al padre le estreme onoranze. Videro questo i più vicini, poi lo seppero tanti altri, e per tutto l’esercito si diffonde stupore, pena, esecrazione di una guerra come nessun’altra feroce. Senza sosta intanto trucidano, spogliano parenti, consanguinei, fratelli; dicono che è un delitto e intanto lo compiono.

Annales, I, 61

Igitur cupido Caesarem invadit solvendi suprema militibus ducique, permoto ad miserationem omni qui aderat exercitu ob propinquos, amicos, denique ob casus bellorum et sortem hominum. praemisso Caecina ut occulta saltuum scrutaretur pontesque et aggeres umido paludum et fallacibus campis inponeret, incedunt maestos locos visuque ac memoria deformis. prima Vari castra lato ambitu et dimensis principiis trium legionum manus ostentabant; dein semiruto vallo, humili fossa accisae iam reliquiae consedisse intellegebantur: medio campi albentia ossa, ut fugerant, ut restiterant, disiecta vel aggerata. adiacebant fragmina telorum equorumque artus, simul truncis arborum antefixa ora. Iucis propinquis barbarae arae, apud quas tribunos ac primorum ordinum centuriones mactaverant. et cladis eius superstites, pugnam aut vincula elapsi, referebant hic cecidisse legatos, illic raptas aquilas; primum ubi vulnus Varo adactum, ubi infelici dextera et suo ictu mortem invenerit; quo tribunali contionatus Arminius, quot patibula captivis, quae scrobes, utque signis et aquilis per superbiam inluserit.

Sorse allora in Cesare Germanico il desiderio di rendere gli estremi onori ai soldati e al loro comandante, tra la generale commiserazione dell’esercito lì presente al pensiero dei parenti, degli amici e ancora dei casi della guerra e del destino umano. Mandato in avanscoperta Cecina a esplorare i recessi della foresta e a costruire ponti e dighe sugli acquitrini delle paludi e sui terreni insidiosi, avanzavano in quei luoghi mesti, deprimenti alla vista e al ricordo. Il primo campo di Varo denotava, per l’ampiezza del recinto e le dimensioni del quartier generale, il lavoro di tre legioni; poi, dal trinceramento semidistrutto, dalla fossa non profonda, si arguiva che là si erano attestati i resti ormai ridotti allo stremo. In mezzo alla pianura biancheggiavano le ossa, sparse o ammucchiate, a seconda della fuga o della resistenza opposta. Accanto, frammenti di armi e carcasse di cavalli e teschi confitti sui tronchi degli alberi. Nei boschi vicini, aree barbariche, sulle quali avevano sacrificato i tribuni e i centurioni di grado più elevato. I superstiti di quella disfatta, sfuggiti alla battaglia o alla prigionia, raccontavano che qui erano caduti i legati e là strappate via le aquile, e dove Varo avesse subìto la prima ferita e dove il poveretto, di sua mano, avesse trovato la morte; da quale rialzo avesse parlato Arminio, quanti patiboli e quali fosse avessero preparato per i prigionieri e come, nella sua superbia, Arminio avesse schernito le insegne e le aquile.

Agricola, 13

Ipsi Britanni dilectum ac tributa et iniuncta imperii munia impigre obeunt, si iniuriae absint: has aegre tolerant, iam domiti ut pareant, nondum ut serviant. igitur primus omnium Romanorum divus Iulius cum exercitu Britanniam ingressus, quamquam prospera pugna terruerit incolas ac litore potitus sit, potest videri ostendisse posteris, non tradidisse. mox bella civilia et in rem publicam versa principum arma, ac longa oblivio Britanniae etiam in pace: consilium id divus Augustus vocabat, Tiberius praeceptum. agitasse Gaium Caesarem de intranda Britannia satis constat, ni velox ingenio mobili paenitentiae, et ingentes adversus Germaniam conatus frustra fuissent. divus Claudius auctor iterati operis, transvectis legionibus auxiliisque et adsumpto in partem rerum Vespasiano, quod initium venturae mox fortunae fuit: domitae gentes, capti reges et monstratus fatis Vespasianus.

I Britanni sottostanno senza resistenza agli obblighi di leva, alle tassazioni e agli altri oneri imposti dall’impero, a patto che non si commettano ingiustizie: queste mal le sopportano, perché sono sottomessi abbastanza per obbedire, ma non ancora per essere schiavi. Il primo fra tutti i Romani che penetrò in Britannia con un esercito fu il divo Giulio. In uno scontro vittorioso atterrì gli abitanti e si impadronì della costa: è d’altra parte evidente che ha indicato ma non consegnato doma l’isola ai posteri. Poi seguirono a Roma le guerre civili, quando capi politici levarono le armi contro lo stato, e a lungo ci si dimenticò della Britannia anche in tempo di pace: per il divo Augusto si trattava, a suo dire, di un consiglio, Tiberio lo prese come un ordine. È noto che Gaio Cesare abbia coltivato l’idea di invadere la Britannia ma, d’indole volubile, mutava con facilità parere; del resto, già si erano rivelati vani i suoi imponenti sforzi contro la Germania. Volle ritentare l’impresa il divo Claudio; trasportò legioni e reparti ausiliari e chiamò Vespasiano a collaborare alle operazioni, il che fu, per costui, l’inizio della fortuna ormai prossima: vennero piegati popoli, catturati re e Vespasiano fu additato al suo destino.