“Il fanciullo e il delfino”

Delphinus hominem non expavescit ut alienum, obviam navigiis venit, alludit exsultans, certat etiam, et quamvis plena praeterit vela. Divo Augusto principe, delphinus, Lucrinum lacum invectus, miro amore dilexit pauperis cuiusdam puerum, ex Baiano Puteolos in ludum litterarium itantem, cum meridiano (tempore) immorans, appellatum eum Simonis nomine, saepius fragmentis panis, quem ob id ferebat, allexisset. Quocumque diei tempore inclamatus a puero, quamvis occultus atque abditus, ex imo advolabat, pastusque e manu, praebebat ascensuro (puero) dorsum, pinnae aculeos velut vagina condens, puerumque Puteolos, per magnum aequor, in ludum ferebat, simili modo revehens plurimis annis; donec morbo extincto puero, subinde ad consuetum locum ventitans, tristis et maerenti similis, ipse quoque – quod nemo dubitaret – desiderio expiravit.

Il delfino non teme l’uomo come un estraneo, va incontro alle navi, gioca saltando, gareggia anche, e supera le vele anche se molto gonfie. Un delfino, portato nel lago Lucrino durante il principato del divino Augusto, amò un giovane figlio di un povero, che da Baio si recava nella scuola di scrittura a Pozzuoli, che lo chiamò con il nome di Simone, e che si tratteneva nel mezzogiorno (per ore), dopo averlo attirato a sè abbastanza spesso con briciole di pane che gli portava. In qualsiasi ora del giorno chiamato dal ragazzo, sebbene nascosto e nelle profondita, correva dal fondo, e mangiato dalla mano porgeva il dorso (al ragazzo) affinchè salisse, nascondendo per così dire le punte della pinna in una fodera, e portava il ragazzo a Pozzuoli a scuola attraverso l’alto mare, e riportandolo per moltissimi anni nello stesso modo; fino a quando morto il giovane per una malattia, continuando comunque a venire nel luogo consueto, per la tristezza e per dolori simili, esso stesso – come nessuno potrebbe dubitare – morì di rimpianto.

“Il Mausoleo di Alicarnasso”

Scopas habuit aemulos eadem aetate Bryaxim et Timotheum et Leocharem, de quibus simul dicendum est, quoniam pariter caelaverunt Mausoleum. Sepulcrum hoc est ab uxore Artemisia factum Mausolo, Cariae regi, qui obiit Olympiadis centesimae septimae anno secundo. Hoc opus antiqui inter septem miracula orbis terrarum posuere. Patet ab Austro et Septentrione sexaginta tres pedes, brevius a frontibus; toto circuitu pedes quadringenti quadraginta sunt; attollitur in altitudinem viginti quinque cubitos, cingitur columnis triginta sex. Ab oriente caelavit Scopas, a septentrione Bryaxis, a meridie Timotheus, ab occasu Leochares. Priusquam opus pergerent artifices, regina Artemisia obiit. Non tamen ab opere recesserunt artifices priusquam absolverunt, iudicantes id futurum esse suae gloriae et artis monumentum. Accessit et quintus artifex, qui in cacumine pyramidis quadrigam marmoream posuit.

(Lo scultore) Scopa ebbe emuli contemporanei in Briasside, Timoteo e Leocare, dei quali si deve trattare insieme, poiché tutti e quattro costruirono il Mausoleo. Questa costruzione è un monumento funerario, (commissionato) dalla moglie Artemisia e costruito in onore di Mausolo, signore della Caria, che morì nel secondo anno della 107esima olimpiade. Gli antichi annoverarono quest’opera tra le 7 meraviglie del mondo. Si estende verso sud (l’Austro è un vento meridionale, usato dagli antichi per indicare il sud) e verso nord per 63 piedi, mentre nelle (altre) facciate è più corto. L’intero perimetro è di 440 piedi; si eleva in altezza di 25 cubiti, ed è cinto da 36 colonne. Scopa scolpì (la parte che volgeva) ad est, Briasside (quella) a nord, Timoteo (quella) a sud, Leocare (quella) a ovest. Prima che i (quattro) costruttori ultimassero l’opera, la regina Artemisia morì. Tuttavia, gli artisti non non tralasciarono la costruzione prima di averla compiuta, ben considerando che essa sarebbe stata simbolo della loro gloria e un’eccezionale opera d’arte. Si aggiunse anche un quinto scultore, il quale – alla punta della costruzione piramidale – pose una quadriga scolpita in marmo.