Confessiones, VI, 8

Non sane relinquens incantatem sibi a parentibus terrenam viam, Romam praecesserat, ut ius disceret, et ibi gladiatorii spectaculi hiatu incredibili et incredibiliter abreptus est. Cum enim aversaretur et detestaretur talia, quidam eius amici et condiscipuli, cum forte de prandio redeuntibus pervium esset, recusantem vehementer et resisitentem, familiari violentia duxerunt in amphitheatrum crudelium et funestorum ludorum diebus, haec dicentem: si corpus meum in locum illum trahitis, numquid et animum et oculos meos in illa spectacula potestis intendere? adero itaque absens, ac sic et vos et illa superabo. Quibus auditis illi nihilo setius eum adduxerunt secum, id ipsum forte explorare cupientes, utrum posset efficere. Quo ubi ventum est et sedibus quibus potuerunt locati sunt, fervebant omnia inmanissimis voluptatibus. Ille clausis foribus oculorum interdixit animo, ne in tanta mala procederet. Atque utinam et aures opturasset! nam quodam pugnae casu, cum clamor ingens totius populi vehementer cum pulsasset, curiositate victus, et quasi paratus, quidquid illud esset, etiam visum et quasi paratus, quidquid illud esset, etiam visum contemnere et vincere, aperuit, et percussus est graviore vulnere in anima quam ille in corpore, quem cernere concupivit, ceciditque miserabilius quam ille, quo cadente factus est clamor: qui per eius aures intravit et reseravit eius lumina, ut esset, qua feriretur et deiceretur audax adhuc potius quam fortis animus, et eo infirmior, quo de se praesumpserat, qui debuit de te. Ut enim vidit illum sanguinem, inmanitatem simul ebibit; et non se avertit, sed fixit aspectum, et hauriebat furias at nesciebat, et delectabatur scelere certaminis, et cruenta voluptate inebriabatur. Et non erat iam ille, qui venerat, sed unus de turba, ad quam venerat, et verus eorum socius, a quibus adductus erat. Quid plura? spectavit, clamavit, exarsit, abstulit inde secum insaniam, qua stimularetur redire, non tantum cum illis, a quibus abstractus est, sed etiam prae illis et alios trahens. Et inde tamen manu validissima et misericordissima eruisti eum tu, et docuisti eum non sui habere, sed tui fiduciam; sed longe postea.

Senza abbandonare davvero la via del mondo, a lui decantata dai suoi genitori, mi aveva preceduto a Roma con l’intenzione di apprendervi il diritto. E là in circostanze stravaganti venne travolto dalla stravagante passione per gli spettacoli gladiatori. Mentre evitava e detestava quel genere di passatempi, incontrò per strada certi suoi amici e condiscepoli, che per caso tornavano da un pranzo e che lo condussero a forza, come si fa tra compagni, malgrado i suoi vigorosi dinieghi e la sua resistenza, all’anfiteatro, ov’era in corso la stagione dei giochi efferati e funesti. Diceva: “Potete trascinare in quel luogo e collocarvi il mio corpo, ma potrete puntare il mio spirito e i miei occhi su quegli spettacoli? Sarò là, ma lontano, così avrò la meglio e su di voi e su di essi”; ma non per questo gli altri rinunciarono a tirarselo dietro, forse curiosi di vedere se appunto riusciva a realizzare il suo proposito. Ora, quando giunsero a destinazione e presero posto come poterono, ovunque erano scatenate le più bestiali soddisfazioni. Egli impedì al suo spirito di avanzare in mezzo a tanto male, chiudendo i battenti degli occhi: oh, avesse tappato anche le orecchie! Quando, a una certa fase del combattimento, l’enorme grido di tutto il pubblico violentemente lo urtò, vinto dalla curiosità, credendosi capace di dominare e vincere, qualunque fosse, anche la visione, aprì gli occhi. La sua anima ne subì una ferita più grave di quella subìta dal corpo di colui che volle guardare, e cadde più miseramente di colui che con la propria caduta aveva provocato il grido. Questo, penetrato attraverso le orecchie, spalancò gli occhi per aprire una breccia al colpo che avrebbe abbattuto quello spirito ancora più temerario che robusto, tanto più debole, quanto più aveva contato su di sé invece che su di te, come avrebbe dovuto fare. Vedere il sangue e sorbire la ferocia fu tutt’uno, né più se ne distolse, ma tenne gli occhi fissi e attinse inconsciamente il furore, mentre godeva della gara criminale e s’inebriava di una voluttà sanguinaria. Non era ormai più la stessa persona venuta al teatro, ma una delle tante fra cui era venuta, un degno compare di coloro che ve lo avevano condotto. Che altro dire? Osservò lo spettacolo, gridò, divampò, se ne portò via un’eccitazione forsennata, che lo stimolava a tornarvi non solo insieme a coloro che lo avevano trascinato la prima volta, ma anche più di coloro, e trascinandovi altri. Eppure tu lo sollevasti da quell’abisso con la tua mano potentissima e misericordiosissima, gli insegnasti a non riporre fiducia in sé, ma in te; però molto più tardi.