67 – O dulci iucunda viro, iucunda parenti, salve, teque bona Iuppiter auctet ope, ianua, quam Balbo dicunt servisse benigne olim, cum sedes ipse senex tenuit, quamque ferunt rursus gnato servisse maligne, postquam es porrecto facta marita sene. dic agedum nobis, quare mutata feraris in dominum veterem deseruisse fidem. ‘Non (ita Caecilio placeam, cui tradita nunc sum) culpa mea est, quamquam dicitur esse mea, nec peccatum a me quisquam pote dicere quicquam: verum istius populi ianua qui te facit, qui, quacumque aliquid reperitur non bene factum, ad me omnes clamant: ianua, culpa tua est.’ non istuc satis est uno te dicere verbo, sed facere ut quivis sentiat et videat. ‘Qui possum? nemo quaerit nec scire laborat.’ Nos volumus: nobis dicere ne dubita. ‘Primum igitur, virgo quod fertur tradita nobis, falsum est. non illam vir prior attigerit, languidior tenera cui pendens sicula beta numquam se mediam sustulit ad tunicam; sed pater illius gnati violasse cubile dicitur et miseram conscelerasse domum, sive quod impia mens caeco flagrabat amore, seu quod iners sterili semine natus erat, ut quaerendum unde unde foret nervosius illud, quod posset zonam solvere virgineam.’ Egregium narras mira pietate parentem, qui ipse sui gnati minxerit in gremium. ‘Atqui non solum hoc dicit se cognitum habere Brixia Cycneae supposita speculae, flavus quam molli praecurrit flumine Mella, Brixia Veronae mater amata meae, sed de Postumio et Corneli narrat amore, cum quibus illa malum fecit adulterium. dixerit hic aliquis: quid? tu istaec, ianua, nosti, cui numquam domini limine abesse licet, nec populum auscultare, sed hic suffixa tigillo tantum operire soles aut aperire domum? saepe illam audivi furtiva voce loquentem solam cum ancillis haec sua flagitia, nomine dicentem quos diximus, utpote quae mi speraret nec linguam esse nec auriculam. praeterea addebat quendam, quem dicere nolo nomine, ne tollat rubra supercilia. longus homo est, magnas cui lites intulit olim falsum mendaci ventre puerperium.
67 – Oh, per il dolce marito piacevole, piacevole per il genitore, salve, porta, e Giove t’accresca con buon aiuto, (porta), che si dice abbia servito benignamente un tempo Balbo, quando egli stesso abitò il palazzo, e che di nuovo, si racconta, servì malamente il figlio, dopo che, stecchitosi il vecchio, diventasti sposata. Suvvia dicci, perché cambiata, si racconti che abbia lasciato la lealtà verso il vecchio padrone. “No (così io piaccia a Cecilio, cui ora son stata consegnata) non è colpa mia, benchè si dica che è mia, né uno può dire che da parte mia qualcosa sia stato sbagliato: ma è di questo popolaccio che ti maltratta, che comunque si trovi qualcosa di non ben fatto tutti gridan contro di me: porta, è colpa tua”. Non è sufficiente qui che tu ti esprima con una sola parola, ma far sì che chiunque senta e veda. “Come posso? Nessuno chiede né si preoccupa di sapere?” Noi lo vogliamo: non esitare a parlarci. “Anzitutto dunque, che ci sia stata data una vergine, si dice, è falso. Che un precedente uomo non l’abbia toccata, e gli pende uno spadino più floscio d’una morbida bietola; mai si alzò in mezzo alla tunica; ma suo padre violò il letto del figlio, si dice, e disonorò la misera casa, sia che un empio istinto bruciasse di cieco amore, sia che il figlio fosse inerte col seme sterile, da chiedersi come fosse troppo nervoso quel coso, che potè sciogliere la cintura verginale.” Parli d’un genitore di straordinaria fede. Proprio lui a pisciare nel grembo di suo figlio. Ma non solo questo dice di avere come saputo Brescia, posta sotto l’osservatorio cicneo, che il biondo Mella attraversa con tenero corso, Brescia, amata madre della mia Verona, ma narra di Postumio de dell’amore di Cornelio, con cui essa fece un malvagio adulterio. Qui uno direbbe: “Che? Tu, porta, sai questo, tu cui non è lecito allontanarsi dalla soglia del padrone, né origliare il popolo, ma qui fissata al cardine sei solita solo aprire o chiudere la casa? Spesso la sentii parlare a bassa voce sola con le ancelle di queste sue porcherie, dire per nome quelli, che abbiam detto, come chi sperava che non avessi né lingua né orecchio. Inoltre aggiungeva un tale, che non voglio dire per nome, che non alzi le rosse sopracciglia. E’ un tipo lungo, cui una volta una falsa prole per una pancia fasulla recò grosse liti”.