Ad Familiares, II, 4

Epistularum genera multa esse non ignoras sed unum illud certissimum, cuius causa inventa res ipsa est, ut certiores faceremus absentis si quid esset quod eos scire aut nostra aut ipsorum interesset. Huius generis litteras a me profecto non exspectas. Tuarum enim rerum domesticos habes et scriptores et nuntios, in meis autem rebus nihil est sane novi. Reliqua sunt epistularum genera duo, quae me magno opere delectant, unum familiare et iocosum, alterum severum et grave. Utro me minus deceat uti non intellego. Iocerne tecum per litteras? Civem mehercule non puto esse, qui temporibus his ridere possit. An gravius aliquid scribam? Quid est quod possit graviter a Cicerone scribi ad Curionem nisi de re publica? Atqui in hoc genere haec mea causa est ut [neque ea quae sentio audeam] neque ea quae non sentio velim scribere.

Sai bene che ci sono molti generi epistolari, ma il genere per eccellenza è quello per il quale è stato inventato il genere stesso, per informare chi è lontano, se è accaduto qualcosa che importi a noi o a loro che essi seppiano. Senza dubbio non aspetti da parte mia lettere di questo genere. Delle tue faccende private infatti hai corrispondenti e messaggeri di casa tua, riguardo poi le mie faccende non c’è nessuna novità. Sono rimasti due generi epistolari, che mi piacciono molto, uno familiare e gioviale, l’altro serio e grave. Non capisco quale dei due mi si addica meno usare. Dovrei scherzare con te per lettera? Certamente non penso di essere un cittadino che possa ridere in questi tempi. O forse scrivere qualcosa di serio? Che cosa c’è che possa essere seriamente scritto da Cicerone a Curione se non sullo stato? Eppure in questo tipo di lettera la mia situazione è tale che né oso (scrivere) ciò che penso, né voglio scrivere ciò che non penso.