De natura deorum, II, 10 (“L’errore di Tiberio Sempronio Gracco”)

At vero apud maiores tanta religionis vis fuit, ut quidam imperatores etiam se ipsos dis inmortalibus capite velato verbis certis pro re publica devoverent. Multa ex Sibyllinis vaticinationibus, multa ex haruspicum responsis commemorare possum quibus ea confirmentur, quae dubia nemini debent esse. Atqui et nostrorum augurum et Etruscorum haruspicum disciplinam P. Scipione C. Figulo consulibus res ipsa probavit. quos cum Ti. Gracchus consul iterum crearet, primus rogator, ut eos rettulit, ibidem est repente mortuus. Gracchus cum comitia nihilo minus peregisset remque illam in religionem populo venisse sentiret, ad senatum rettulit. Senatus quos ad soleret, referendum censuit. Haruspices introducti responderunt non fuisse iustum comitiorum rogatorem.

Ma al tempo dei nostri progenitori fu tanto il peso dei fattore religioso che alcuni comandanti di eserciti, a capo coperto e con formule determinate offrirono se stessi in olocausto agli dèi immortali per il bene della patria. Dai vaticini delle sibille e dai responsi degli aruspici si possono trarre molte veritiere testimonianze che nessuno ha il diritto di porre in dubbio. Ma è l’evidenza dei fatti che ha comprovato la validità della scienza dei nostri auguri e degli aruspici etruschi quando erano consoli Publio Scipione e Gaio Figulo. Tiberio Gracco, che rivestiva per la seconda volta l’ufficio di console, stava presiedendo l’elezione dei suoi successori; ed ecco che l’ufficiale incaricato di raccogliere i voti della prima centuria non appena ebbe riferito i nomi degli eletti morì sul luogo stesso. Gracco condusse ugualmente a termine i comizi, ma avendo notato che l’evento aveva turbato il sentimento religioso dell’assemblea, ne riferì al Senato. Il Senato allora decretò che il caso venisse deferito a chi di consueto e gli aruspici introdotti per l’occasione dichiararono che il presidente dei comizi non esercitava la carica di pieno diritto.