De Bello Gallico, VIII, 20

Tali modo re gesta recentibus proeli vestigiis ingressus Caesar, cum victos tanta calamitate existimaret hostes nuntio accepto locum castrorum relicturos, quae non longius ab ea caede abesse plus minus octo milibus dicebantur, tametsi flumine impeditum transitum videbat, tamen exercitu traducto progreditur. At Bellovaci reliquaeque civitates repente ex fuga paucis atque his vulneratis receptis, qui silvarum benefieio casum evitaverant, omnibus adversis, cognita calamitate, interfecto Correo, amisso equitatu et fortissimis pcditibus, cum adventare Romanos existimarent, concilio repente cantu tubarum convocato conclamant, legati obsidesque ad Caesarem mittantur.

Conclusasi così l’operazione, Cesare sopraggiunse mentre erano ancora freschi i segni della battaglia e pensò che i nemici, alla notizia di una tale disfatta, avrebbero spostato il campo, non distante – a quanto si diceva – oltre le otto miglia, più o meno, dal luogo della strage; perciò, nonostante il serio ostacolo rappresentato dal fiume, lo varca con l’esercito e avanza. I Bellovaci e gli altri popoli, intanto, accolgono i fuggiaschi, pochi e per di più feriti, che avevano evitato il peggio grazie alle boscaglie: apprendono che era stata una catastrofe, Correo era morto, la cavalleria e i fanti più valorosi annientati. Convinti che i Romani sarebbero ben presto sopraggiunti, al suono delle trombe radunano rapidamente l’assemblea e chiedono a gran voce di inviare a Cesare emissari e ostaggi.