De Bello Gallico, VIII, 29

Cum aliquamdiu summa contentione dimicaretur, Dumnacus instruit aciem quae suis esset equitibus in vicem praesidio, cum repente confertae legiones in conspectum hostium veniunt. Quibus visis perculsae barbarorum turmae ac perterritae acies hostium, perturbato impedimentorum agmine, magno clamore discursuque passim fugae se mandant. At nostri equites, qui paulo ante cum resistentibus fortissime conflixerant, laetitia victoriae elati magno undique clamore sublato cedentibus circumfusi, quantum equorum vires ad persequendum dextraeque ad caedendum valent, tantum eo proelio interficiunt. Itaque amplius milibus XII aut armatorum aut eorum qui eo timore arma proiecerant interfectis omnis multitudo capitur impedimentorum.

La battaglia proseguiva già da un pezzo, violentissima. Dumnaco schiera in formazione i fanti, in modo che loro e i cavalieri potessero darsi reciproco aiuto. Ma ecco apparire, all’improvviso, le legioni a ranghi serrati. A tale vista gli squadroni nemici sono colti da terrore, si diffonde il panico tra i fanti, lo scompiglio regna tra le salmerie: con alti clamori corrono qua e là, si danno a una fuga disordinata. Allora i nostri cavalieri, che poco prima si erano battuti con estremo valore contro la resistenza degli avversari, trascinati dalla gioia per la vittoria, levano alte grida da ogni parte e circondano i nemici in rotta: finché i cavalli hanno la forza di inseguire e le destre di tirar fendenti, seminano morte. Così, dopo aver ucciso più di dodicimila nemici, che fossero in armi oppure che le avessero gettate per il panico, catturano tutta la colonna delle salmerie.