Aulularia, v. 79-119

EVCL: Nunc defaecato demum animo egredior domo, postquam perspexi salva esse intus omnia. redi nunciam intro atque intus serva.
STAPH: Quippini? ego intus servem? an ne quis aedes auferat? nam hic apud nos nihil est aliud quaesti furibus, ita inaniis sunt oppletae atque araneis.
EVCL: Mirum quin tua me causa faciat Iuppiter Philippum regem aut Dareum, trivenefica. araneas mihi ego illas servari volo. pauper sum; fateor, patior; quod di dant fero. abi intro, occlude ianuam. iam ego hic ero. cave quemquam alienum in aedis intro miseris. quod quispiam ignem quaerat, extingui volo, ne causae quid sit quod te quisquam quaeritet. nam si ignis vivet, tu extinguere extempulo. tum aquam aufugisse dicito, si quis petet. cultrum, securim, pistillum, mortarium, quae utenda vasa semper vicini rogant, fures venisse atque abstulisse dicito. profecto in aedis meas me absente neminem volo intro mitti. atque etiam hoc praedico tibi, si Bona Fortuna veniat, ne intro miseris.
STAPH: Pol ea ipsa credo ne intro mittatur cavet, nam ad aedis nostras numquam adit, quamquam prope est.
EVCL: Tace atque abi intro.
STAPH: Taceo atque abeo.
EVCL: Occlude sis fores ambobus pessulis. iam ego hic ero. discrucior animi, quia ab domo abeundum est mihi. nimis hercle invitus abeo. sed quid agam scio. nam noster nostrae qui est magister curiae dividere argenti dixit nummos in viros; id si relinquo ac non peto, omnes ilico me suspicentur, credo, habere aurum domi. nam non est veri simile, hominem pauperem pauxillum parvi facere quin nummum petat. nam nunc cum celo sedulo omnis, ne sciant, omnes videntur scire et me benignius omnes salutant quam salutabant prius; adeunt, consistunt, copulantur dexteras, rogitant me ut valeam, quid agam, quid rerum geram. nunc quo profectus sum ibo; postidea domum me rursum quantum potero tantum recipiam.

EUCLIONE (uscendo di casa, tra sé): Adesso sì che posso uscir di casa, finalmente, col cuore leggero, poi che ho visto che là dentro tutto è a posto. (A Stafila) Tu, torna subito in casa, e fa’ la guardia.
STAFILA: E come no? Farò la guardia? Perché non ti portino via la casa? Perché da noi, per i ladri, non c’è niente da fregare, se non il vuoto e le ragnatele.
EUCLIONE: Strano, neh, che Giove non faccia di me, per amor tuo, un re come Filippo, come Dario, razza di avvelenatrice. Le ragnatele? Io me le voglio conservare. Sì, lo confesso, sono povero, e porto pazienza, perché io prendo quel che gli dèi mi danno. Va’ dentro, tu, e sbarra la porta. Presto sarò di ritorno. Attenta a non far entrare in casa degli estranei. Qualcuno potrebbe chiederti del fuoco e allora io ordino che il fuoco sia spento. Così non c’è ragione che qualcuno si attenti a chiederlo. Se trovo il fuoco acceso, io spengo te. E subito… E se qualcuno chiedesse dell’acqua, digli che è scolata via. E quelle cose che i vicini stan sempre a chiedere in prestito – coltello, scure, pestello, mortaio… – tu digli che son venuti i ladri e l’hanno rubate. Insomma, in casa mia, in mia assenza, voglio che tu non faccia entrare nessuno. Anzi ti do un altro ordine, questo: non far entrare nemmeno la Buona Fortuna, se mai capitasse in questi paraggi.
STAFILA: La Buona Fortuna in casa nostra? Per Polluce, credo proprio che se ne guardi. Perché non si è mai avvicinata, lei, a casa nostra, anche se poi non sta mica lontana.
EUCLIONE: Zitta, tu, e vattene in casa.
STAFILA: Taccio e vado.
EUCLIONE: Attenta a chiuder bene la porta, con tutti e due i catenacci. Io, tra poco, sarò qui. (Stafila entra in casa.)
EUCLIONE: Che gran dispiacere, per me, dovermi allontanare da casa. Mi allontano proprio a malincuore. Però so bene quel che debbo fare. Perché il capo della nostra curia ha annunciato che distribuirà danaro a ciascun membro. Se non ci vado, se ci rinuncio, subito tutti, penso, sospetteranno che io ci abbia in casa un tesoro. Ecché è verosimile che un morto di fame se ne infischi dei soldi, per pochi che siano, e non chieda nulla di nulla? Anche adesso, che faccio di tutto perché nessuno sappia, sembra che tutti sappiano, e tutti son più cortesi di prima nel salutarmi, e mi vengono incontro, si fermano, mi stringon la mano, mi chiedono tutti come sto, cosa faccio, che combino. Suvvia, vado dove occorre che vada; e poi, più presto che posso, me ne ritornerò a casa mia. (Esce in direzione del foro.)