Magnum est, imperator Auguste, stare in Danubii ripa, si transeas, certum triumphi nec decertare cupere cum recusantibus: quorum alterum fortitudine, alterum moderatione efficitur. Accipiet ergo aliquando Capitolium non mimicos currus nec falsae simulacra victoriae, sed imperatorem veram ac solidam gloriam reportantem, pacem tranquillitatem et tam confessa hostium obsequia. Pulchrius hoc omnibus triumphis est. Neque enim umquam nisi ex contemptu imperii nostri factum est, ut vinceremus. Videor iam cernere non spoliis provinciarum, et extorto sociis auro, sed hostilibus armis captorumque regum catenis triumphum gravem. Videor ingentia ducum nomina, nec indecora nominibus corpora noscitare. Videor intueri immanibus ausis barbarorum onusta fercula, et sua quemque facta vinctismanibus sequentem: mox ipsum te sublimem, instantemque curru domitarum gentium tergo; ante currum autem dypeos, quos ipse perfoderis. Nec tibi opima defuerint, si quis regum venire in manus audeat, nec modo telorum tuorum, sed etiam oculorum minarumque coniectum toto campo, totoque exercitu opposito, perhorrescat. Meruisti próxima moderatione, ut, quandoque te vel inferre vel propulsare bellum coegerit horrescat. Meruisti próxima moderatione, ut, quandoque te vel inferre vel propulsare bellum coegerit horrescat. Meruisti próxima moderatione, ut, quandoque te vel inferre vel propulsare bellum coegerit imperii dignitas, non ideo vicisse videaris ut triumphares, sed triumphare, quia viceris.
Fa stupore, o Cesare Angusto, fa stupore, che vi teniate fermo sulle rive del Danubio sicuro della vittoria, se lo valicate, e che non abbiate alcuna voglia di combattere con chi rifugge dalla battaglia: due cose, l’una delle quali è un effetto del valore, l’altra della moderazione. Il Campidoglio dunque accoglierà finalmente una volta non già carri vuoti di spoglie, non simulacri di bugiarde vittorie, ma bensì la tranquillità con vera e massiccia gloria dell’imperatore, che l’ha procurata, e le soddisfazioni date in tal modo dai nemici. Cosa che è ben più bella di tutti i trionfi. Infatti non accadde mai che vincessimo, se prima fu perso il rispetto della nostra potenza. Mi pare ormai di vederlo, il trionfo, carico non già delle spoglie delle province, né dell’oro rapito ai confederati, ma bensì delle armi ostili e delle catene dei re prigionieri. Mi pare di leggere i maestosi nomi dei condottieri, e di ammirare i loro sembianti ben meritevoli di tali nomi. Mi pare di vedere i carri carichi delle feroci torme dei barbari, e ognuno di questi seguire con le mani legate le proprie imprese: quindi seguire voi, sublime sul vostro cocchio, ed alle spalle delle nazioni soggiogate, con gli scudi davanti al cocchio da voi medesimo perforati. Né le spoglie opime mancheranno alla vostra gloria, se mai alcun re avrà l’ardire di capitare tra le vostre mani, invece di involarsi non solo dai colpi del vostro braccio, ma anche da quelli dei terribili vostri sguardi, quanto è largo il campo, e dietro al folto del proprio esercito. Ma con la moderazione di recente da voi mostrata avete ottenuto che, ogni volta che l’onore dell’imperio domandi che o dichiariate voi per primo la guerra, o la ripudiate a voi mossa, si debba capire, che non avete combattuto per trionfare, ma trionfate per aver vinto.