“Un’arguta battuta”

Narrant Aristippum philosophum obviam ivisse Dionysio, Syracusarum tyranno, in via cum satellitibus procedenti et magna voce exclamavisse: “Te oro, Dionysie, ut fratrem meum e vinc.ulis dimittas”. Frater Aristippi enim cum paucis civitatis princibus contra tyrannum conspiraverat et, coniuratione patefacta, in carcerem coniectus erat. Sed Dionysius eius preces non audivit neque iter intermisit. Tum philosophus ad pedes tyranni se proiecit et osc.ulo vestem contigit sperans se eius animum penitus (avv.) commoturum esse. Etenim Dionysius, tanto obsequio commotus, fratrem Aristippi e carcere produci iussit. Sed cives quidam, cum rem vidissent, tam servile obsequium exprobrantes, id viro libero ac sapienti indignum esse dixerunt. Tum Aristippus, leniter subridens iis respondit: “Cur me obiurgatis? Non mea est culpa, sed DIonysii: nam ei aures in pedibus sunt!”.

Narrano che il filosofo Aristippo sia andato incontro a Dionisio, tiranno di Siracusa, che procedeva per la strada con le guardie del corpo ed avesse esclamato a gran voce: “Ti prego, o Dionisio, di lasciare uscire mio fratello dal carcere”. Il fratello di Aristippo, infatti, aveva cospirato contro il tiranno con pochi capi della città e, una volta scoperta la congiura, era stato mandato in prigione. Ma Dionisio non ascoltò le sue preghiere né interruppe il cammino. Allora il filosofo si lanciò ai piedi del tiranno e toccò l’abito con le labbra sperando che avrebbe profondamente commosso il suo animo. Difatti Dionisio, mosso da tanto ossequio, ordinò che il fratello di Aristippo fosse scarcerato. Ma alcuni cittadini, avendo visto la cosa, rimproverandogli un ossequio così servile, dissero che esso non era degno di un uomo libero e sapiente. Allora Aristippo rispose loro sorridendo: “Perché mi rimproverate? Non è mia la colpa, ma di Dionisio: infatti egli ha le orecchie nei piedi!”.