De Bello Civili, II, 35

Qua in fuga Fabius Pelignus quidam ex infimis ordinibus de exercitu Curionis primus agmen fugientium consecutus magna voce Varum nomine appellans requirebat, uti unus esse ex eius militibus et monere aliquid velle ac dicere videretur. Ubi ille saepius appellatus aspexit ac restitit et, quis esset aut quid vellet, quaesivit, umerum apertum gladio appetit paulumque afuit, quin Varum interficeret; quod ille periculum sublato ad eius conatum scuto vitavit. Fabius a proximis militibus circumventus interficitur. Hac fugientium multitudine ac turba portae castrorum occupantur atque iter impeditur, pluresque in eo loco sine vulnere quam in proelio aut fuga intereunt, neque multum afuit, quin etiam castris expellerentur, ac nonnulli protinus eodem cursu in oppidum contenderunt. Sed cum loci natura et munitio castrorum aditum prohibebant, tum quod ad proelium egressi Curionis milites eis rebus indigebant, quae ad oppugnationem castrorum erant usui. Itaque Curio exercitum in castra reducit suis omnibus praeter Fabium incolumibus, ex numero adversariorum circiter DC interfectis ac mille vulneratis; qui omnes discessu Curionis multique praeterea per simulationem vulnerum ex castris in oppidum propter timorem sese recipiunt. Qua re animadversa Varus et terrore exercitus cognito bucinatore in castris et paucis ad speciem tabernaculis relictis de tertia vigilia silentio exercitum in oppidum reducit.

Durante questa fuga un Peligno, di nome Fabio, che aveva uno dei gradi più bassi dell’esercito di Curione, raggiunta la prima fila dei fuggitivi, andava in cerca di Varo chiamandolo per nome ad alta voce sì da sembrare essere uno dei suoi soldati e volerlo avvertire e parlargli. Quando Varo, dopo essere stato più volte chiamato, lo vide, si fermò, e chiese chi fosse e che cosa volesse, quello tirò un colpo di spada al fianco e mancò poco che uccidesse Varo; egli, alzato lo scudo per difendersi dall’attacco, evitò questo pericolo. Fabio circondato dai soldati che erano più vicini viene ucciso. Le porte dell’accampamento vengono ostruite da una moltitudine disordinata di fuggitivi e viene impedito il passaggio; muoiono più soldati in quel luogo senza ricevere ferita che in battaglia o durante la fuga e non mancò molto che venissero scacciati dal campo; alcuni uomini, senza interrompere la corsa, si diressero verso la città. Ma l’accesso era allora impedito per un verso dalla natura del luogo e dalle fortificazioni e per l’altro dal fatto che i soldati di Curione, usciti per combattere, mancavano di quei mezzi necessari per espugnare il campo. E così Curione riconduce l’esercito nell’accampamento con tutti i suoi soldati incolumi, eccetto Fabio; mentre fra i nemici ne furono uccisi circa seicento e feriti mille. Alla partenza di Curione tutti costoro e molti altri, che si fingevano feriti, lasciano l’accampamento e si rifugiano, per la paura, nella città. Varo, accortosi di ciò, visto il terrore dell’esercito, lasciati nel campo un trombettiere e poche tende per ingannare il nemico, verso mezzanotte, in silenzio, riconduce l’esercito in città.