De legibus, III, 5

Magistratibus igitur opus est sine quorum prudentia ac diligentia esse civitas non potest quorumque discriptione omnis rei publicae moderatio continetur. Neque solum iis praescribendus est imperandi sed etiam civibus obtemperandi modus. Nam et qui bene imperat paruerit aliquando necesse est et qui modeste paret videtur qui aliquando imperet dignus esse. Itaque oportet et eum qui paret sperare se aliquo tempore imperaturum et illum qui imperat cogitare brevi tempore sibi esse parendum. Nec vero solum ut obtemperent oboediantque magistratibus sed etiam ut eos colant diligantque praescribimus ut Charondas in suis facit legibus noster vero Plato Titanum e genere statuit eos qui ut illi caelestibus sic hi adversentur magistratibus. Quae cum ita sint ad ipsas iam leges veniamus si placet. Atticus: Mihi vero et istud et ordo iste rerum placet.

C’è dunque necessità di magistrati, perché senza la loro saggezza e diligenza non potrebbe sussistere uno Stato, e sulla loro distribuzione si fonda tutta la gestione dello Stato. E occorrerà stabilire non soltanto per essi un limite al loro potere, ma anche per i cittadini un limite all’obbedienza. Infatti chi ben comanda, dovrà un giorno o l’altro obbedire, e chi obbedisce con giudizio, può sembrare degno di assumere un giorno il potere. E’ necessario pertanto che chi obbedisce abbia la speranza di poter un giorno comandare, e colui che comanda rifletta che tra breve dovrà obbedire. Ma non solo prescriviamo che i cittadini siano sottomessi e obbediscano ai magistrati, ma anche che li onorino e li amino, come fece Caronda nella sua costituzione; d’altra parte il nostro Platone affermò che appartengono alla stirpe dei Titani coloro i quali resistano ai magistrati, così come già quelli resistettero agli dèi celesti. Stando così le cose, veniamo ora, se volete, alle leggi vere e proprie. Attico: – Sono perfettamente d’accordo su questo criterio e sulla successione degli argomenti.