De Bello Gallico, VIII, 19

Cum dispositis turmis in vicem rari proeliarentur neque ab lateribus circumveniri suos paterentur, erumpunt ceteri Correo proeliante ex silvis. Fit magna contentione diversum proelium. Quod cum diutius pari Marte iniretur, paulatim ex silvis instructa multitudo procedit peditum, quae nostros coegit cedere equites. Quibus celeriter subveniunt levis armaturae pedites, quos ante legiones missos docui, turmisque nostrorum interpositi constanter proeliantur. Pugnatur aliquamdiu pari contentione; deinde, ut ratio postulabat proeli, qui sustinuerant primos impetus insidiarum hoc ipso fiunt superiores, quod nullum ab insidiantibus imprudentes acceperant detrimentum. Accedunt propius interim legiones, crebrique eodem tempore et nostris et hostibus nuntii adferuntur, imperatorem instructis copiis adesse. Qua re cognita praesidio cohortium confisi nostri acerrime proeliantur, ne, si tardius rem gessissent, victoriae gloriam communicasse cum legionibus viderentur; hostes concidunt animis atque itineribus diversis fugam quaerunt. Nequiquam: nam quibus difficultatibus locorum Romanos claudere voluerant, eis ipsi tenebantur. Victi tamen perculsique maiore parte amissa consternati profugiunt partim silvis petitis, partim flumine (qui tamen in fuga a nostris acriter insequentibus conficiuntur), eum interim nulla calamitate victus Correus excedere proelio silvasque petere aut invitantibus nostris ad deditionem potuit adduci, quin fortissime proeliando compluresque vulnerando cogeret elatos iracundia victores in se tela conicere.

I nostri, divisi in squadroni, si impegnavano a turno e in ordine sparso, senza permettere che il nemico aggirasse dai fianchi la fanteria. Ed ecco che, mentre Correo combatteva, altri rincalzi erompono dalle selve. Si scatenano accese mischie qua e là. Mentre la lotta si protraeva incerta, a poco a poco dalle selve avanza a ranghi serrati il grosso della fanteria nemica, che costringe alla ritirata i nostri cavalieri. In loro soccorso interviene rapidamente la nostra fanteria leggera, che precedeva le legioni, come avevo già detto: mescolati ai nostri squadroni di cavalleria affrontano con fermezza gli avversari. Per un certo tratto ci si batte con pari ardore; poi, conforme a una legge dei fatti d’arme, chi aveva resistito ai primi assalti dell’imboscata, ha la meglio, proprio perché non aveva patito lo svantaggio della sorpresa. Nel frattempo, le legioni si avvicinano e pervengono, di continuo, ai nostri e ai nemici notizie sull’arrivo del comandante con l’esercito in assetto di guerra. Di conseguenza, i nostri, rassicurati dal sostegno delle coorti, moltiplicano gli sforzi per non dover dividere l’onore del successo con le legioni, nel caso in cui la battaglia fosse andata troppo per le lunghe. I nemici si perdono d’animo e cercano da ogni parte vie di salvezza. Invano: vengono intrappolati dalle difficoltà dei luoghi, in cui avevano voluto rinserrare i Romani. Vinti e travolti, dopo aver perso il grosso delle truppe, scappano in preda al terrore, dirigendosi verso le selve o verso il fiume, ma tutti i fuggiaschi vengono massacrati dai nostri che li inseguivano con accanimento. Al contempo nessuna traversia piegò Correo: né si risolse a lasciare la mischia e a cercar riparo nelle selve, né acconsentì alla resa, che pure i nostri gli offrivano. Anzi, poiché combatté con estremo valore e ferì parecchi dei nostri, i vincitori, pieni d\’ira, furono costretti a bersagliarlo di frecce.