De Bello Gallico, VIII, 42

Quo malo perterriti oppidani cupas sebo, pice, scandulis complent; eas ardentes in opera provolvunt eodemque tempore acerrime proeliantur, ut ab incendio restinguendo dimicationis periculo deterreant Romanos. Magna repente in ipsis operibus flamma exstitit. Quaecumque enim per locum praecipitem missa erant, ea vineis et aggere suppressa comprehendebant id ipsum quod morabatur. Milites contra nostri, quamquam periculoso genere proeli locoque iniquo premebantur, tamen omnia fortissimo sustinebant animo. Res enim gerebatur et excelso loco et in conspectu exercitus nostri, magnusque utrimque clamor oriebatur. Ita quam quisque poterat maxime insignis, quo notior testatiorque virtus esset eius, telis hostium flammaeque se offerebat.

Atterriti dal pericolo, gli abitanti riempiono barili di sego, pece, assicelle, gli danno fuoco e li fanno rotolare sulle nostre costruzioni. Nello stesso tempo attaccano risolutamente, in modo che la lotta minacciosa distolga i Romani dall’estinguere l’incendio. Subito alte fiamme si levano in mezzo alle nostre opere di difesa. Infatti, i barili, dovunque rotolassero a precipizio lungo la china, bloccati dalle vinee e dal terrapieno, appiccavano il fuoco agli ostacoli sul loro cammino. Tuttavia, i nostri soldati, benché costretti a un genere di combattimento pericoloso e in posizione sfavorevole, tenevano testa a tutte le avversità con indomito coraggio. Lo scontro difatti si svolgeva in alto, davanti agli occhi del nostro esercito; da entrambe le parti si levavano alte grida. Così, quanto più uno era conosciuto per il suo coraggio, tanto più si esponeva ai dardi dei nemici e alle fiamme, per rendere ancor più noto e provato il suo valore.