Ab Urbe Condita, XXXIV, 1 (“La legge Oppia”)

Inter bellorum magnorum aut uixdum finitorum aut imminentium curas intercessit res parua dictu sed quae studiis in magnum certamen excesserit. M. Fundanius et L. Ualerius tribuni plebi ad plebem tulerunt de Oppia lege abroganda. Tulerat eam C. Oppius tribunus plebis Q. Fabio Ti. Sempronio consulibus in medio ardore Punici belli, ne qua mulier plus semunciam auri haberet neu uestimento uersicolori uteretur neu iuncto uehiculo in urbe oppidoue aut propius inde mille passus nisi sacrorum publicorum causa ueheretur. M. et P. Iunii Bruti tribuni plebis legem Oppiam tuebantur nec eam se abrogari passuros aiebant; ad suadendum dissuadendumque multi nobiles prodibant; Capitolium turba hominum fauentium aduersantiumque legi complebatur. Matronae nulla nec auctoritate nec uerecundia nec imperio uirorum contineri limine poterant, omnes uias urbis aditusque in forum obsidebant, uiros descendentes ad forum orantes ut florente re publica, crescente in dies priuata omnium fortuna matronis quoque pristinum ornatum reddi paterentur. Augebatur haec frequentia mulierum in dies; nam etiam ex oppidis conciliabulisque conueniebant. Iam et consules praetoresque et alios magistratus adire et rogare audebant; ceterum minime exorabilem alterum utique consulem M. Porcium Catonem habebant, qui pro lege quae abrogabatur ita disseruit.

Tra tutte le preoccupazioni che venivano dalle grandi guerre da cui Roma era appena uscita o che la minacciavano da vicino, si svolse una vicenda certo di non grande rilevanza ai fini del racconto, ma tale da degenerare, con l’accendersi degli animi, in un’aspra contesa. I tribuni della plebe Marco Fundanio e Lucio Valerio presentarono al popolo una legge tesa ad abrogare la legge Oppia. Questa legge era stata proposta dal tribuno della plebe Gaio Oppio, nell’anno in cui erano consoli Quinto Fabio e Tiberio Sempronio, proprio quando più divampava la guerra punica: secondo questa legge nessuna donna poteva possedere più di mezza oncia d’oro, indossare vestiti dai colori appariscenti, farsi portare in carrozza in Roma o in altre città o nel raggio di un miglio da esse se non per motivi legati a cerimonie religiose. I tribuni della plebe Marco e Publio Giunio Bruto difendevano la legge Oppia e proclamavano che non ne avrebbero mai accettato l’abrogazione; molti esponenti della nobiltà si facevano avanti parlando a favore della legge o contro di essa e tutto il Campidoglio era pieno di una folla di favorevoli e contrari alla legge. E le donne: non riuscirono a trattenerle in casa nè l’autorità, nè il senso del pudore, nè le imposizioni dei loro mariti; avevano occupato tutte le strade della città e tutti gli accessi al Foro, chiedendo agli uomini i quali vi si recavano che consentissero, in un momento di grande floridezza della repubblica e di crescita continua e generale della ricchezza privata, che alle donne fossero restituiti i loro antichi ornamenti. Le donne si radunavano, di giorno in giorno, sempre più numerose arrivando perfino dalle città e dai luoghi di mercato dei dintorni. Ormai osavano avvicinare i consoli, i pretori e gli altri magistrati presentando le loro richieste. Tuttavia avevano un implacabile nemico in almeno uno dei consoli, Marco Porcio Catone, il quale così parlò a favore della legge che si voleva abrogare.