Nam mihi videtur M. Tullius, cum se totum ad imitationem Graecorum contulisset, efffinxisse vim Demosthenis, copiam Platonis, iucunditatem Isocratis. Nec vero quod in quoque optimum fuit, studio consecutus est tantum, sed plurimas vel potius omnes ex se ipsa virtutes extulit immortalis ingenii beatissima ubertas. Non enim “pluvias”, ut ait Pidarus, “aquas colligit, sed vivo gurgite exundat”, dono quodam providentiae genitus, in quo totas vires suas eloquentia experiretur. Nam quis docere diligentius, movere vehementius potest? Cui tanta umquam iucunditas adfuit?
A me pare infatti che Marco Tullio, nel suo dedicarsi interamente all’imitazione dei greci, abbia riprodotto la forza di Demostene, la ricchezza di Platone e l’arrendevolezza di Isocrate. Ma tutti i pregi che si trovano in quegli autori non gli erano giunti soltanto con lo studio: la maggior parte delle sue virtù (o meglio, tutte) le ha prodotte la felicissima ricchezza del suo talento immortale, traendole da se stesso. Non si limita infatti a raccogliere, come dice Pindaro, le acque piovane, ma trabocca con la sua viva corrente: la sua nascita è stato un dono della provvidenza, affinché l’eloquenza potesse mettere alla prova in lui tutte le proprie possibilità. Dovrebbe infatti formare gli ascoltatori con maggior diligenza? Chi ha mai avuto tanto fascino?