Institutio oratoria, XII, I, 1-2-3

1 – Sit ergo nobis orator quem constituimus is qui a M. Catone finitur vir bonus dicendi peritus, verum, id quod et ille posuit prius et ipsa natura potius ac maius est, utique vir bonus: id non eo tantum quod, si vis illa dicendi malitiam instruxerit, nihil sit publicis privatisque rebus perniciosius eloquentia, nosque ipsi, qui pro virili parte conferre aliquid ad facultatem dicendi conati sumus, pessime mereamur de rebus humanis si latroni comparamus haec arma, non militi.
2 – Quid de nobis loquor? Rerum ipsa natura, in eo quod praecipue indulsisse homini videtur quoque nos a ceteris animalibus separasse, non parens sed noverca fuerit si facultatem dicendi sociam scelerum, adversam innocentiae, hostem veritatis invenit. Mutos enim nasci et egere omni ratione satius fuisset quam providentiae munera in mutuam perniciem convertere.
3 – Longius tendit hoc iudicium meum. Neque enim tantum id dico, eum qui sit orator virum bonum esse oportere, sed ne futurum quidem oratorem nisi virum bonum. Nam certe neque intellegentiam concesseris iis qui proposita honestorum ac turpium via peiorem sequi malent, neque prudentiam, cum in gravissimas frequenter legum, semper vero malae conscientiae poenas a semet ipsis inproviso rerum exitu induantur.

1 – L’oratore che mi sono riproposto di formare con i miei insegnamenti deve essere quindi un uomo perbene esperto nell’arte del parlare, secondo la definizione di Marco Porcio Catone. Ma quello che Catone ha messo al primo posto, e che è l’aspetto più pregevole e più grande per la sua stessa natura, è il suo essere un uomo perbene, e questo per due motivi. Se infatti quest’abilità retorica fornisse a un simile oratore soltanto le armi della frode, l’eloquenza sarebbe ciò che vi è di più dannoso per il bene comune e per il bene dei singoli cittadini; io stesso, che pure ho compiuto sforzi incredibili, per quanto era nelle mie possibilità, nel tentativo di far progredire in qualcosa le possibilità dell’arte oratoria, avrei fatto un pessimo servizio all’umanità fornendo queste armi non a un soldato, ma a un brigante.
2 – Perchè parlo di me? La natura stessa, proprio per aver dimostrato una particolare benevolenza nei confronti degli uomini e per averci voluto distinguere dagli altri animali, sarebbe stata una matrigna, e non una madre, se avesse inventato l’arte oratoria per farla diventare complice dei delitti, avversaria dell’innocenza, nemica della verità. Sarebbe infatti stato meglio nascere muti ed essere totalmente privi dell’intelligenza piuttosto che trasformare i doni della provvidenza nella nostra rovina reciproca.
3 – Ma, secondo me, la questione va ancora più oltre. Non voglio dire infatti soltanto che un oratore deve essere un uomo perbene, ma affermo anzi che, se non è un uomo perbene, non potrà nemmeno diventare un oratore. Nessuno sarebbe certo disposto ad ammettere che siano intelligenti coloro che, una volta che sono state messe davanti a loro la strada che porta verso l’onestà e quella che conduce verso il vizio, preferiscono seguire la peggiore, e nemmeno sarebbe disposto a concedere che siano avveduti e prudenti coloro che, quando le cose hanno avuto un risultato diverso da quello che avevano previsto, a causa delle proprie colpe incappano molto spesso nelle gravissime conseguenze della legge e finiscono sempre per patire i rimorsi della loro cattiva coscienza.