Ne Euripides quidem Athenis arrogans visus est, cum postulante vi populo ut ex tragoedia quandam sententiam tolleret progressus in scaenam dixit se, ut eum doceret, non ut ab eo disceret, fabulas conponere solere. laudanda profecto fiducia est, quae aestimationem sui certo pondere examinat, tantum sibi adrogans, quantum a contemptu et insolentia distare satis est. itaque etiam quod Alcestidi tragico poetae respondit probabile. apud quem cum quereretur quod eo triduo non ultra tres versus maximo inpenso labore deducere potuisset, atque is se centum perfacile scripsisse gloriaretur, ‘sed hoc’ inquit ‘interest, quod tui in triduum tantum modo, mei vero in omne tempus sufficient’: alterius enim fecundi cursus scripta intra primas memoriae metas conruerunt, alterius cunctante stilo elucubratum opus per omne aevi tempus plenis gloriae velis feretur.
Neanche Euripide diede impressione di arroganza agli Ateniesi, quando – allorchè il pubblico gli chiese di espungere un passaggio da una tragedia – avanzando sul palco, affermò ch’egli era solito comporre opere teatrali per insegnare al popolo e non per essere da esso edotto. Certamente è degna di lode una fiducia, che valuta la propria bravura con metro esatto e che tanto è pretenziosa di sè, quanto basta a non scadere nel disprezzo e nell’insolenza. Pertanto degno d’approvazione anche ciò che (Euripide) ribattè al poeta tragico Alcestide. Poichè (Euripide) si lamentava con lui per non esser riuscito a cavar fuori più di tre versi in un lasso di tempo di tre giorni, pur sforzandosi molto, mentre quello si vantava di averne composto un centinaio senza alcun sforzo, (Euripide) controbattè: “Ecco la differenza: i tuoi versi dureranno solo tre giorni, i miei saranno eterni”. E infatti, le opere dell’uno (Alcestide) – (autore) prolifico – sono naufragati subito nel dimenticatoio, mentre l’opera dell’altro (Euripide) – pensata con stile esitante – giungeranno a gonfie vele alla gloria attraverso il trascorrere infinito del tempo.