Hannibal enim Aemilii Pauli apud Cannas trucidati quaesitum corpus, quantum in ipso fuit, inhumatum iacere passus non est. Hannibal Ti. Gracchum Lucanorum circumuentum insidiis cum summo honore sepulturae mandauit et ossa eius in patriam portanda militibus nostris tradidit. Hannibal M. Marcellum in agro Bruttio, dum conatus Poenorum cupidius quam consideratius speculatur, interemptum legitimo funere extulit punicoque sagulo et corona donatum aurea rogo inposuit. ergo humanitatis dulcedo etiam in
Annibale, infatti, fatto cercare il cadavere di Emilio Paolo, caduto ucciso a Canne, non permise – per quanto fosse nelle sue facoltà – che (quello) giacesse insepolto. (Sempre) Annibale fece seppellire con sommo onore Tiberio Gracco, caduto in un’imboscata ordita dai Lucani e fece consegnare le sue spoglie ai nostri soldati, che le facessero rientrare in patria. (Ancora Annibale,) fece onorare con degne esequie M. Marcello – caduto ucciso nel territorio Bruzzio, mentre spiava i tentativi dei Cartaginesi più con temerarietà che con circospezione – e (ne), fece porre sul rogo (la salma) avvolta in un mantello cartaginese e cinto d’una corona d’oro. Ciò vuol dire che la dolcezza dell’umana sensibilità penetra anche nelle indoli efferate dei barbari, addolcisce lo sguardo torvo e truce dei nemici e modera gli insolentissimi ardori di una vittoria. Né a quella (ovvero, all’humanitas) riesce arduo e difficile – pur tra armi contrapposte, pur tra le armi sguainate nel corpo a corpo, imboccare una via di pace. (L’humanitas) vince l’ira, spegne l’odio e fa mescolare il sangue nemico alle nemiche lacrime.