“Discorso di Scipione ai suoi prima della battaglia”

Scipio, priusquam exercitum educeretin aciem, talem orationem habuit: “Novo imperatori apud novos rnilites pauca verba facienda sunt. Nunc cumiis est vobis, milites, pugnandum quos terra marique priore bello vicistis, a quibus stipendium per viginti annos exegistis. Cum his equitibus, cum his pedi ti bus pugn aturi estis. At nunc non est vobis dimicandum pro decore tantum, sed pro salute! Non de possessione Siciliae ac Sardiniae, de quibus quondam agebatur, sed pro Italia est vobis pugnandum. Nec est alius a tergo exercitus, qui, nisi nos vincimus, hosti obsistat. Hic est obstandum, milites, velut si ante Romana moenia pugnemus. Unusquisque se non corpus suum, sed coni u gem ac liberos parvos armis protegere putet; nec domesticas solum con siderei cu ras, sed identidem hoc animo reputet: nostras nunc intueri manus senatuni populumque Romanum; qualis nostra vis virtusque fu eri t, talem deinde fortunam illius urbis ac Romani imperii fu tu ram
esse”.

Scipione, prima di schierare l’esercito in campo, tenne il seguente discorso: “Un nuovo comandante deve pronunciare poche parole dinnanzi a nuovi soldati. Ora, o soldati, voi dovete combattere con coloro che vinceste durante la prima guerra per terra e per mare, dai quali esigeste un tributo per vent’anni. Con questi cavalieri, con questi fanti state per combattere! Ma ora voi non dovete lottare soltanto per l’onore bensì perla salvezza! Non dovete combattere per il possesso della Sicilia e della Sardegna, delle quali un tempo si trattava, ma in difesa dell’Italia. E non c’è altro esercito alle spalle, che, se noi non vinciamo, si opponga al nemico. Qui si deve resistere, soldati, come se combattessimo davanti alle mura di Roma. Ciascuno pensi di stare proteggendo con le armi non il suo stesso corpo ma la moglie e i figlioletti, e non consideri solo le preoccupazioni familiari, ma ripensi a questo incessantemente fra sé: ora il senato e il popolo di Roma guardano alle nostre schiere; quali saranno state la nostra forza e virtù, tale è destinata ad essere la sorte di quella città e del potere romano”.